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USA nonostante Trump

di Alessandro Secciani

è vero che l’Asia è sempre più importante sui mercati finanziari e in quello dell’arte, è indubbio che l’Europa, pur tra mille contraddizioni, sta vivendo un periodo positivo come non si vedeva da tempo, ma è fuori discussione che a dare il passo a tutte le piazze finanziarie del mondo restano gli Stati Uniti. È impensabile che con gli Usa in difficoltà il resto del pianeta possa espandersi e che anche un settore come l’arte, che è direttamente collegato alla finanza, possa crescere nel mezzo di una caduta dei mercati degli States.
Ma attualmente decifrare l’andamento dell’America è tutt’altro che facile. Non a caso tra i gestori i pareri su Wall Street sono tutt’altro che univoci. Vediamo gli elementi fondamentali positivi e negativi.

Amministrazione Trump.
L’attuale presidente degli Usa circa un anno fa stava concludendo la sua campagna elettorale in mezzo allo scetticismo generale del paese. E a lanciare i sassi più pesanti era proprio il milieu finanziario: la cosa più carina che veniva pronosticata era un crollo dell’intero equity. Ma per fortuna avrebbe vinto la Clinton… All’arrivo dei primi risultati lo scenario di crollo si è immediatamente avviato, salvo in poche ore prendere corpo uno dei più clamorosi voltafaccia della storia finanziaria: gli operatori finanziari hanno scoperto all’improvviso che il programma del nuovo presidente era largamente favorevole al mondo degli affari. Un generalizzato ribasso delle tasse, un rientro dei capitali entro i confini, investimenti per almeno un trilione di dollari in infrastrutture, deregulation selvaggia sui mercati erano musica per le orecchie di piccole e grandi aziende.
A circa un anno di distanza si può dire che all’ottimismo di allora è subentrato un enorme senso di delusione: di quanto promesso non è stato realizzato nulla e l’amministrazione dà l’idea di annaspare pesantemente. A livello reale il Pil per quest’anno difficilmente evidenzierà un aumento significativamente superiore al 2%. Per di più la Fed sta incrementando il programma di rialzo dei tassi.

Il mercato azionario.
E in questo clima di delusione generale che cosa succede? L’S&P 500, il maggiore indice borsistico americano e del mondo continua a fare segnare nuovi record; ai primi di ottobre si trovava a quota 2.534, ennesimo massimo storico, dopo avere sfondato quota 2.500, barriera psicologica non da poco, una quindicina di giorni prima. È vero che la crescita degli utili nel terzo trimestre appare un po’ deludente, è indubbio che la Banca centrale sta un po’ contrastando le azioni, ma il mercato cresce lo stesso.

Il mercato obbligazionario.
Con la Federal Reserve che alza i tassi, l’inflazione che cresce (+1,7% su base annua) e un mercato azionario che va come un treno sarebbe logico aspettarsi una crescita dei tassi. E invece no: dopo avere superato il 2,6% di rendimento all’inizio della primavera il Treausury americano era ai primi di ottobre intorno al 2,3%. In pratica gli investitori si fidano dello stato americano e continuano a riversare i loro capitali sulle obbligazioni.

Il dollaro.
Per certi versi è stata la vera sorpresa: tutti si aspettavano un rafforzamento della moneta Usa, mentre negli ultimi mesi si è visto un netto ribasso sull’euro e sulla maggior parte delle altre monete.

Che fare?
A questo punto un investitore in arte, che magari pensa di acquistare un’opera a un’asta a New York, come si deve muovere? Deve pensare che i mercati stanno creando l’ennesima bolla speculativa e che tra un po’ viene giù tutto oppure deve confidare nel fatto che l’America è sempre l’America? La risposta sicura non ce l’ha nessuno e lo stesso mondo finanziario è profondamente diviso. Molti money manager affermano che stanno diminuendo gli investimenti su Wall Street, ma la borsa cresce, a dimostrazione del fatto che i capitali in entrata sono certamente superiori a quelli in uscita.
Un’osservazione comunque si può fare: in una struttura complessa come gli Usa gli elementi politici sono certamente importanti, ma non fondamentali. Il paese vanta le maggiori società del mondo, un livello tecnologico e di ricerca senza pari, consumi che restano pur sempre elevatissimi, investimenti che hanno ripreso a salire, la presenza di una moltitudine di settori che consentono ogni genere di rotazione di temi, mercati finanziari che attirano capitali da tutto il mondo. In questo quadro un singolo uomo, anche se ha il ruolo di presidente, non ha tutta questa capacità di fare disastri e l’enorme insieme che è l’economia americana probabilmente è in grado di continuare a svilupparsi ugualmente.
Se questo ragionamento risulterà veritiero, è possibile che si vada incontro a qualche ritracciamento degli attuali corsi, ma una vera e propria crisi sembra improbabile. Con tutte le cautele possibili, con tutti i caveat che si possono mettere in campo, forse oggi acquistare a un’asta a New York non è una mossa così azzardata, specie se non si tratta di opere d’arte puramente speculative.