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Quando la Scienza cambia la storia dell’Arte

di Danilo Cafferata

Lo studio di un’opera d’arte è un percorso avvincente che già da qualche decennio si è arricchito di nuovi strumenti di analisi. Le tecniche di indagine disponibili non sono propriamente inedite ma vengono frequentemente prese in prestito dal campo medico-scientifico o industriale. Ciò che è innovativo, invece, è la loro applicazione nel settore della diagnostica dei beni culturali. Tali metodi di indagine hanno spesso richiesto modifiche per produrre risultati utili nella diagnostica delle opere d’arte, ma ciò che in questi anni si è dovuto adattare maggiormente sono stati la mentalità e il modus operandi degli addetti ai lavori.

In particolare è stato messo in discussione l’approccio con cui si affronta lo studio, sia storico-artistico, sia conservativo, di un’opera: il contributo più rilevante delle indagini scientifiche è infatti ottenere dati per descrivere, definire, qualificare in modo oggettivo il manufatto che si studia al fine di formare una solida piattaforma condivisa, il più completa e meno ambigua possibile, sulla quale ciascuna figura professionale coinvolta possa basare le proprie considerazioni critiche e, a maggior ragione, eventuali azioni conseguenti.

Un risultato di tale portata è ottenibile spingendosi a considerare il manufatto artistico come un organismo con peculiarità uniche che, oltre ad essere il risultato dell’impiego di determinati materiali miscelati, giustapposti, assemblati con tecniche specifiche è caratterizzato da una personalissima storia conservativa.

La lettura di questi elementi avviene attraverso un cospicuo numero di indagini che tradizionalmente vengono raggruppate in due famiglie distinte (cfr. box): la diagnostica per immagini (diagnostic imaging), che comprende le tecniche non invasive basate sulle proprietà fisiche delle radiazioni elettromagnetiche per ottenere una lettura multispettrale dell’opera (fig. 1), e la diagnostica analitica (analytical diagnostics), finalizzata in particolare alla caratterizzazione dei materiali attraverso analisi chimico-fisiche puntuali.
Una corretta metodologia di indagine prevede l’applicazione di tecniche diagnostiche di entrambe le classi, rispettandone la propedeuticità e con la consapevolezza delle potenzialità di ciascuna e dei rispettivi limiti intrinseci, senza dimenticare che la possibilità di raffrontare i risultati ottenuti con le varie metodiche è quasi sempre determinante per costruire un quadro preciso sulla tecnica esecutiva, sui materiali e sullo stato di conservazione di un’opera d’arte.

Con tali strumenti è possibile compiere un vero e proprio viaggio all’interno dell’opera d’arte che non di rado conduce a sorprese. Documentare un dipinto impiegando diverse lunghezze d’onda (fig. 2) può consentire di localizzare i contorni di ridipinture dovute a pregressi interventi di restauro (fluorescenza UV), evidenziare la morfologia degli strati pittorici, di incisioni, punzonature (luce visibile, radente, macro e microfotografia), aiutare a discriminare campiture cromatiche realizzate con materiali diversi – spesso non originali – non distinguibili all’esame visivo dell’opera (infrarosso in falsi colori), permettere di visualizzare un disegno realizzato dall’artista sulla preparazione prima della stesura degli strati pittorici, i relativi pentimenti e mostrarne eventuali tecniche di trasporto come lo spolvero o la quadrettatura (riflettografia infrarossa), evidenziare lacune reintegrate, stesure pittoriche sottostanti, caratteristiche morfologiche e/o costruttive del supporto (radiografia).

In alcuni casi i risultati sono in grado di suscitare un certo stupore: certamente non si rimane indifferenti quando si visualizza il disegno sottostante in un dipinto, soprattutto quando si è consapevoli che nessuno, a parte l’autore, lo ha potuto vedere negli ultimi seicento anni (figg. 3, 4), e lo si offre allo storico dell’arte come elemento di studio dal quale possono essere ricavati dati rilevanti per l’attribuzione dell’opera oppure, leggendo le diverse radiopacità dei materiali attraverso una radiografia, si giunge alla conclusione oggettiva che la data incisa su un dipinto su tavola risulta non originale (fig.5) o si rintraccia una stesura pittorica anteriore ed autonoma sotto il dipinto in esame (fig.6).

Risultato dopo risultato, si aggiungono conoscenze in grado di orientare gli ulteriori passi dell’analisi dell’opera che vedono protagoniste le tecniche d’indagine puntuali mirate allo studio stratigrafico della pellicola pittorica e alla caratterizzazione dei materiali impiegati. Il riconoscimento di pigmenti e leganti permette quindi la definizione della tavolozza utilizzata dall’autore e gli aspetti della tecnica esecutiva correlati ai materiali.

Ogni contributo conoscitivo così ottenuto fornisce elementi di supporto nella valutazione di questioni di compatibilità con l’attribuzione o nella soluzione di problemi metodologici e tecnici nel campo del restauro. Non di rado, però, l’applicazione delle indagini scientifiche solleva nuovi temi e suscita nuovi dibattiti ma, d’altro canto, è in grado di far emergere aspetti che possono far risparmiare settimane di letture iconografiche e comparazioni stilistiche dell’opera che si vuole studiare – o restaurare, vendere, acquistare, selezionare per un’esposizione – dimostrando, ad esempio, che è stata integralmente realizzata con materiali entrati in uso solo dopo la morte del presunto autore o con una tecnica a lui completamente estranea. Di fronte a tali possibilità come può non cambiare la storia dell’arte nelle sue consapevolezze e nei suoi metodi?