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Ribera Giovane. La realtà tra Roma e Napoli

di Nicola Spinosa

Nel 2002 Gianni Papi, in un contributo comparso sulla rivista ‘Paragone’ di quell’anno, assegnava al giovane Jusepe de Ribera a Roma, proveniente da Valencia, tutta l’opera fino ad allora attribuita all’anonimo Maestro del Giudizio di Salomone, traendo spunto dal soggetto di una tela conservata nella Galleria Borghese di Roma, che nel 1952 Roberto Longhi suggerì d’identificare con un pittore caravaggesco, forse di origine francese, attivo a Roma nel secondo decennio del Seicento. Anche gli storici dell’arte, italiani e stranieri, che si occupano in particolare dei pittori attivi soprattutto a Roma, ma non solo, nel secondo e terzo decennio del Seicento, nel solco degli esempi del Caravaggio, ma con soluzioni anche di più accentuato vigore naturalista (da Bartolomeo Manfredi al Baburen e molti altri), si sono divisi sulle proposte di Gianni Papi: chi accentando in pieno o in parte la sua identificazione del Maestro del Giudizio di Salomone con il giovane Ribera a Roma; chi respingendola in toto, suggerendo altre ipotesi attributive o continuando a confermare l’iniziale suggerimento del Longhi.

La mostra – così come da tempo e da più parti auspicata – è stata realizzata a cura di José Milicua (noto e stimato studioso di problemi ribereschi e non solo), e da Javier Portús (curatore per il Cinque e Seicento della sezione spagnola del Museo del Prado), con contributi critici in catalogo dei suddetti, di Gabriele Finaldi, di Gianni Papi, del sottoscritto e di Antonio Vannugli e allestita nelle sale riservate alle esposizioni temporanee del Museo di Madrid, dove è stata presentata, da aprile ad agosto scorsi, una selezione di poco più di trenta dipinti: dal Giudizio di Salomone della Borghese agli Apostoli della Fondazione Longhi a Firenze – in passato assegnati all’anonimo Maestro di presunta origine francese e identificati da Papi come appartenenti alla raccolta dello spagnolo Pedro Cussida residente a Roma, in riferimento ad alcuni elementi della nota serie delle personificazioni dei Sensi (Il gusto, La vista e L’olfatto), oggi dispersa tra Pasadena, Hartford, Città del Messico e Madrid –; al monumentale Calvario del Museo Parrocchiale della Collegiata di Osuna in Andalusia, dipinto nel 1618; alla concentrata Resurrezione di Lazzaro dello stesso Museo del Prado, fino all’umanissima Pietà della National Gallery di Londra, realizzata intorno al 1620 per il principe genovese Marcantonio Doria, già committente e collezionista dell’ultimo Caravaggio e di vari pittori napoletani del primo Seicento.

Dal Prado la mostra di Capodimonte a Napoli, seppur con alcune assenze, è comunque arricchita dall’aggiunta di altri dipinti attribuiti o sicuramente di mano del Ribera tra Roma e Napoli – tra i quali una sontuosa Maddalena in meditazione ‘a figura intera’ in un paesaggio con alberi e rocce, già nella celebre raccolta dei Chigi a Roma e nota finora solo da modeste riproduzioni fotografiche – per chiudersi con la ‘paletta’ raffigurante la Madonna col Bambino che consegna la regola a San Bruno, già nel Castello di Weimar e passata recentemente nelle raccolte della Gemäldegalerie di Berlino, firmata e datata dallo spagnolo nel 1624, in coincidenza con l’avvio di un processo di progressiva revisione delle precedenti preferenze per soluzioni di accentuata inclinazione naturalista, di asciutta concretezza pittorica e di forte intensità visiva, su modelli del Caravaggio tra Roma e Napoli, e con esiti affini a quelli del Baburen, di David de Haen o del giovane Valentin a Roma.

Riuscirà la mostra a Capodimonte a risolvere, dopo l’edizione spagnola, i problemi posti dagli studi recenti e dalle opere in esposizione per la ricostruzione dell’attività e dell’opera del giovane Ribera tra Roma e Napoli, anche prescindendo dalla sua identificazione con il Maestro del Giudizio di Salomone di Roberto Longhi? Personalmente, ben conoscendo inclinazioni e comportamenti di noi storici dell’arte, mi si consenta di esprimere qualche dubbio. Ma non importa, anche perché continuo a essere convinto che i meriti più veri e il maggior fascino della ricerca e degli studi in campo artistico stanno proprio nel continuo e costante tentativo di arrivare a possedere ‘verità’ che possono poi essere messe in dubbio o smentite da nuove acquisizioni conoscitive e da un successivo e anche acceso dibattito critico, soprattutto se basato sulla diretta conoscenza delle opere e sul loro immediato confronto.

Che è quanto le due edizioni della mostra sul giovane Ribera hanno proposto. Che non è, per di più, il solo motivo per il quale l’esposizione, come al Prado, anche a Capodimonte è assolutamente da visitare o, per chi l’ha già vista a Madrid, nuovamente da rivedere: non solo, quindi, quello di prendere visione, in serrata unità espositiva, una fitta selezione di opere di uno dei grandi protagonisti (s’identifichi o meno con il solo Ribera), di dimensione europea e mediterranea, della stagione maturata a Roma e a Napoli nel solco e ‘all’ombra’ del Caravaggio, ma anche o soprattutto una fitta e incalzante successione d’intensi e straordinari ‘ritratti’ di umanità quotidiana, ripresa nelle sue concrete apparenze più naturali, autentiche e immediate, per rappresentare santi e madonne, personificazioni dei sensi o di antichi saggi e filosofi, così come di carnefici e vittime di atroci e interminabili martiri, senza modificarne verità di pelle, di tratti somatici, di reazioni espressive.

Una mostra, allora, che non è solo per veri o presunti ‘esperti’ d’arte e dell’argomento nell’occasione affrontato, ma anche o soprattutto per un pubblico che, sebbene non fatto di ‘addetti ai lavori’, sia soprattutto capace d’intendere e apprezzare che tutte le opere d’arte, a qualunque artista siano attribuite, sia pure tra dubbi e riserve più o meno giustificati e comprensibili, sono tutte e sempre espressione e testimonianza della infinita vicenda dell’uomo nel suo essere e continuo divenire, ieri come oggi e domani.

Il giovane Ribera
Napoli Museo Nazionale di Capodimonte
Sala Causa
23 settembre 2011 – 8 gennaio 2012