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NAPLES À PARIS

7 Giugno 2023 - 8 Gennaio 2024

NAPOLI A PARIGI
IL LOUVRE INVITA IL MUSEO DI CAPODIMONTE

7 Giugno 2023 – 8 Gennaio 2024
Ala Denon, Salon Carré e Grande Galerie
Ala Sully, Salle de la Chapelle

7 Giugno 2023 – 25 Settembre 2023
Ala Sully, Salle de l’Horloge

Curatori generali: Sébastien Allard, direttore del Dipartimento delle Pitture del Museo del Louvre e Sylvain Bellenger, direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte.

Curatori scientifici: Charlotte Chastel-Rousseau, capo conservatrice al Dipartimento di Pittura, Dominique Cordellier, conservatore generale al Dipartimento delle Arti Grafiche, Museo del Louvre e Patrizia Piscitello, curatrice della collezione Farnese e delle collezioni di dipinti e sculture del XVI secolo, Alessandra Rullo, Responsabile del Dipartimento Cura e Gestione delle Collezioni, curatrice della pittura e scultura del XIII, XIV e XV secolo, Carmine Romano, curatore, responsabile della digitalizzazione e del catalogo digitale delle opere, Museo e Real Bosco di Capodimonte.

Riaffermando l’importanza della collaborazione tra le istituzioni museali europee, il Museo del Louvre ha stipulato una partnership di portata senza precedenti per l’anno 2023 in collaborazione con il Museo di Capodimonte.
L’esposizione, che ha ricevuto l’Alto Patronato del presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella e del presidente della Repubblica Francese Emanuelle Macron, è il grande evento culturale del 2023.

Antica residenza di caccia dei sovrani borbonici, la Reggia di Capodimonte ospita uno dei più grandi musei d’Italia e una delle più importanti gallerie d’arte in Europa, sia in termini di numero che di eccezionale qualità delle opere conservate. 

Capodimonte è uno dei pochi musei in Italia le cui collezioni permettono di presentare l’intera gamma delle scuole pittoriche italiane. Ospita anche il secondo più grande gabinetto di disegni in Italia dopo gli Uffizi, nonché una notevole collezione di porcellane. 

Per sei mesi i maggiori capolavori del Museo di Capodimonte (oltre settana opere) dialogheranno con quelli del Louvre, in tre diversi spazi:

nella prestigiosa Grande Galerie, dove avrà luogo un dialogo spettacolare tra due collezioni di dipinti italiani tra le più importanti al mondo;
nella Salle de la Chapelle saranno raccontate e messe in luce le origini e le diversità delle collezioni di Capodimonte riunite essenzialmente nella collezione Farnese e Borbonica;
infine, nella Salle de l’Horloge saranno esposti quattro capolavori di disegni dell’antica collezione Farnese: il cartone autografo di Michelangelo, quello di Raffaello e quelli dei collaboratori in dialogo con i disegni di Raffaello e dei sui allievi conservati al Louvre.

L’intento dei due musei è quello di vedere i capolavori di Napoli che dialogano con quelli del Louvre. Le collezioni offriranno ai visitatori una panoramica unica della pittura italiana dal XV al XVII secolo in una presentazione davvero eccezionale.

I – SALON CARRÉ, GRANDE GALERIE E SALLE ROSA (ALA DENON, LIVELLO 1)

Trentuno dipinti provenienti da Capodimonte, tra i maggiori  della pittura italiana, in dialogo con le collezioni del Louvre (opere di Tiziano, Caravaggio, Carracci, Guido Reni, solo per citarne alcuni), oppure in grado di completarle, consentendo la presentazione di scuole che sono poco rappresentate o non lo sono affatto – in particolare, la singolare Scuola napoletana, con artisti dalla potenza drammatica ed espressiva come Jusepe de Ribera, Francesco Guarino o Mattia Preti.
Sarà anche un’occasione per scoprire la Crocifissione di Masaccio, uno dei maggiori artisti del Rinascimento fiorentino, ma assente dalle collezioni del Louvre, un grande dipinto di Giovanni Bellini, La Trasfigurazione, di cui il Louvre non ha un corrispettivo, e tre dei più bei dipinti del Parmigianino, tra cui la famosa ed enigmatica Antea. Il confronto di queste opere con i dipinti del Correggio e di Raffaello promette di essere uno dei momenti salienti dell’incontro.

II – SALLE DE LA CHAPELLE (ALA SULLY, LIVELLO 1)

La collezione di Capodimonte è il frutto di una storia unica nel panorama italiano che spiega in larga misura la diversità delle opere esposte.
Prima dell’Unità d’Italia (il Regno delle Due Sicilie vi fu annesso nel 1861), tre dinastie hanno svolto un ruolo essenziale nella costituzione di questo imponente insieme: i Farnese, i Borbone e i Bonaparte-Murat.
Riunendo dipinti importanti come il Ritratto di papa Paolo III Farnese con i nipoti, opera di Tiziano e il Ritratto di Giulio Clovio di El Greco, sculture e manufatti spettacolari, tutti prestiti eccezionali, tra cui la Cassetta Farnese, la più preziosa e raffinata delle opere di oreficeria del Rinascimento insieme alla Saliera di Benvenuto Cellini, e lo straordinario biscuit di Filippo Tagliolini, La Caduta dei Giganti, la mostra nella Salle de la Chapelle permetterà di scoprire la ricchezza di questa collezione, riflesso e testimonianza delle differenti epoche del Regno di Napoli.

III – SALLE DE L’HORLOGE  (ALA SULLY, LIVELLO 2) 

Con quasi trentamila opere, il Gabinetto dei disegni e delle Stampe di Capodimonte deve parte dei suoi tesori a Fulvio Orsini, umanista, grande studioso e bibliotecario, prima, del Cardinale Alessandro Farnese, noto come il Gran Cardinale e nipote di Papa Paolo III e poi del Cardinale Odoardo Farnese. Orsini ha costituito la prima collezione al mondo di disegni di studio e disegni preparatori. Questo approccio nuovo e rivoluzionario ha portato all’acquisizione di quattro cartoni preparatori di Raffaello e Michelangelo. Mosè davanti al roveto ardente di Raffaello e il Gruppo di armigeri di Michelangelo sono propedeutici alle decorazioni del Vaticano e sono oggi riconosciute come opere autografe. Il cartone della Madonna del Divino Amore e quello di Venere e Amore sono considerate come opere eseguite dagli allievi dei due maestri.
Questi capolavori estremamente rari verranno presentati al Louvre in dialogo con celebri disegni conservati nel Cabinet dei Disegni del Louvre, come la Santa Caterina di Raffaello o il cartone recentemente restaurato de La Moderazione di Giulio Romano, l’allievo più vicino a Raffaello e suo stretto collaboratore.

IL MUSEO DI CAPODIMONTE
di Sylvain Bellenger, direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte

La mostra Napoli a Parigi, il Louvre invita il Museo di Capodimonte è una prima in assoluto nella storia delle esposizioni. Il soggetto della mostra non è un artista, né un movimento, e nemmeno un Paese, ma un museo. Come sappiamo da tempo, e ogni giorno di più, il museo non è un semplice contenitore ma un attore della storia. Le sue collezioni costituiscono una grande narrazione, e con la mostra questa narrazione si trasforma in un dialogo, le opere si incontrano e raccontano la storia del museo, dei due musei.

L’incontro è tanto più forte in quanto l’invito rivolto a Capodimonte, è quello di esporre non isolatamente i suoi capolavori, ma in dialogo con le collezioni italiane del Louvre, nella Grande Galerie, nel Salon Carré, nella sala Salvator Rosa e nella Chapelle, i luoghi storicamente più iconici e illustri del museo, cosi come nella sala de l’Horloge. La scelta delle opere è stata fatta per favorire questo incontro che getterà nuova luce sulle opere ma anche sulla collezione, sul suo spirito e sulla sua storia. 

Molti dei capolavori di Capodimonte, come la Danae di Tiziano, il Ritratto di Paolo III Farnese di Tiziano e l’Antea di Parmigiano, non saranno una sorpresa per molti visitatori, essendo presenti in molti manuali di storia dell’arte, ma la sorpresa sarà ricondurli a Capodimonte, un museo famoso per gli intenditori, ma ancora da scoprire per un pubblico più vasto. Nonostante lo storico legame dei francesi per Napoli, i visitatori di Pompei non sempre pensano di includere questo museo, che è  uno dei primi in Europa.

STORIE CHE SI ASSOMIGLIANO 

La storia di Capodimonte è indissolubilmente legata alla storia del Regno di Napoli, così come la storia del Louvre non può essere separata dalla Rivoluzione francese. La creazione di Capodimonte è legata alla creazione del regno che occupava tutta la parte meridionale dello stivale italiano, così come la creazione del Louvre è il risultato della Rivoluzione francese. Come il Louvre, la Reggia di Capodimonte è un raro Palazzo Reale trasformato in Museo. 

Ma Capodimonte ha la particolarità di essere stato costruito per ospitare le collezioni, quelle della Famiglia Farnese, che Elisabetta Farnese (1692-1766), Regina Consorte di Spagna dal matrimonio con Filippo V di Spagna, nipote di Luigi XIV, donò al suo quinto figlio Carlo di Borbone (1716-1788), Duca di Parma e Piacenza, quando questi divenne Re di Napoli nel 1734. 

Il Regno di Napoli, già viceregno spagnolo e successivamente viceregno austriaco, fu oggetto di tutte le brame delle grandi potenze europee, Spagna, Austria e Francia, durante le guerre di successione della Spagna (1701-1714) e poi della Polonia (1733-1738). Grazie all’abilità diplomatica di Elisabetta Farnese, divenne un regno indipendente governato fino all’Unità d’Italia dai Borbone di Napoli, un ramo più giovane dei Borbone di Spagna.

Elisabetta è l’ultima dei Farnese, una grande famiglia di collezionisti che, fin dal Rinascimento con il cardinale Alessandro Farnese, sotto il pontificato di Paolo III Farnese, aveva costituito una delle più grandi collezioni di antichità e di opere delle grandi scuole italiane: Venezia, Bologna, Firenze, Roma, commissionate, ereditate o conquistate, che erano ospitate nei grandi Palazzi di famiglia, il Palazzo Farnese, la villa di Caprarola o il palazzo della Pilotta a Parma. 

L’intera favolosa collezione di famiglia fu trasportata a Napoli, che si arricchì improvvisamente di una raccolta di opere d’arte paragonabile a quella delle grandi capitali europee. Sotto il regno di Carlo di Borbone, Napoli divenne una capitale dell’Illuminismo e ben presto si posizionò nello scenario politico internazionale anche grazie alla scoperta delle città romane di Ercolano e Pompei, che furono molto propagandate dai nuovi potenti. 

La tradizionale vitalità della vita musicale cittadina si sviluppò con la creazione del Teatro San Carlo, il primo teatro lirico d’Europa, e con la nascita a Capodimonte di una fabbrica di porcellana, una sfida tecnologica per tutta l’Europa del XVIII secolo, che fece della capitale del nuovo regno una delle principali mete del Grand Tour. Napoli era la terza città più importante d’Europa dopo Londra e Parigi. La collezione Farnese era ospitata nell’ala sud-ovest della Reggia di Capodimonte, un maestoso edificio situato su una delle colline della città, dove era stato allestito un enorme parco per la caccia, passatempo preferito di tutti i Borbone. La collezione divenne una raccolta dinastica e Carlo di Borbone la lasciò al figlio Ferdinando IV a Napoli quando la morte del fratellastro Ferdinando VI, nel 1759, lo portò sul trono spagnolo venticinque anni dopo aver assunto la corona di re di Napoli. 

La collezione Farnese, arricchita da tutti i regimi politici che si sono succeduti da Gioacchino Murat, re di Napoli dal 1808 al 1815, a Casa Savoia e alla Repubblica Unitaria, ha dotato Capodimonte di una raccolta che illustra, oltre alla Scuola napoletana, praticamente tutte le scuole della penisola rappresentate al massimo livello. 

Nel 1957, dopo la seconda guerra mondiale, Capodimonte fu restaurato e divenne il Museo Nazionale di Capodimonte. La grande pinacoteca del Sud che ha promosso grandi mostre sulla civiltà napoletana. Nel 2014 la riforma del Ministro Franceschini rende il museo autonomo dalla Soprintendenza Speciale per il Patrimonio storico, artistico e demoantropologico e per il Polo Museale della Città di Napoli, e vi aggiunge il Real Bosco, un giardino storico piantumato nel XVIII e XIX secolo con specie che spesso erano doni diplomatici offerti al Re di Napoli, nei vari periodi storici. Questo parco, il Bosco di Capodimonte, è il più grande parco urbano d’Italia e, oltre alla Reggia, contiene una ventina di edifici la maggior parte dei quali sono sotto la direzione unica del nuovo sito “Museo e Real Bosco di Capodimonte”. 

Dal 2017, questi edifici fanno parte di un Masterplan che assegna loro una destinazione culturale, educativa, sportiva o culinaria e circonda la grande pinacoteca con un vero e proprio campus culturale multidisciplinare: una Foresteria e un Centro di ricerca sull’arte e l’architettura delle grandi città portuali, nell’antica Capraia; una scuola di giardinieri nell’Eremo dei Cappuccini; un museo di Arte Povera nella Palazzina dei Principi; una scuola di digitalizzazione dei beni culturali e paesaggistici; una Casa della Fotografia; un Centro di Salute e Benessere; tre residenze per artisti; una cappella recentemente decorata con nuovi ornamenti in porcellana da Santiago Calatrava, realizzati negli stessi locali della storica Real Fabbrica di Porcellana, oggi scuola dei mestieri della porcellana.
L’ingresso al parco è gratuito e il suo recente restauro lo ha reso uno dei luoghi preferiti dai napoletani.

LA GRANDE GALERIE CON LE OPERE DI CAPODIMONTE
di Sébastien Allard, direttore del Dipartimento di Pittura del Musée du Louvre

L’invito rivolto dal Louvre al Museo di Capodimonte costituisce un evento senza precedenti. La nostra proposta di esporre i capolavori del museo napoletano fra i dipinti del Louvre, nello spazio più importante del museo, la Grande Galerie, non nasce dalla sola idea di offrire ai visitatori un evento eccezionale rappresentato dall’unione di due delle collezioni tra le più prestigiose del mondo, ma anche da quella di esaminare con uno sguardo critico il modo in cui presentiamo e interpretiamo al Louvre la pittura italiana, nonché di evidenziare i punti di forza e i limiti della nostra collezione. Le opere di Capodimonte presenti in mostra sono state scelte alla luce di questi molteplici obiettivi. Il loro accostamento a quelle del Louvre genera un vero e proprio dialogo, ricco e stimolante sia per il Museo di Capodimonte che per il Louvre.

Una domanda potrebbe sorgere spontanea: perché non organizzare una mostra certamente magnifica, ma anche più “normale”, dal titolo “Capolavori di Capodimonte” in uno spazio dedicato? Perché riunire le due collezioni nello stesso ambiente? La risposta è semplice: l’intento era celebrare non solo il forte legame tra il Louvre, con il suo Dipartimento di Pittura in primis, e le istituzioni italiane, nostri principali partner in Europa, ma anche la straordinaria qualità delle opere cedute in prestito dal Museo di Capodimonte.
Tra queste figurano la Crocifissione di Masaccio, artista assente al Louvre, La Trasfigurazione di Giovanni Bellini, una delle opere più belle del maestro insieme al San Francesco della Frick Collection, Antea e il Ritratto di Galeazzo Sanvitale del Parmigianino, di cui sono presenti solo poche opere nelle nostre collezioni di pittura, la Danae di Tiziano, la Flagellazione di Caravaggio, Atalanta e Ippomene di Guido Reni, il Sileno Ebbro di Ribera e il magnifico gruppo di dipinti di pittori napoletani, con la monumentale Madonna del Rosario di Luca Giordano o la toccante Sant’Agata di Francesco Guarino. 

Nessun altro ambiente del Louvre potrebbe offrire una cornice più suggestiva della Grande Galleria, il nucleo storico da cui il museo, nato dalla Rivoluzione, è stato creato il 10 agosto 1793 e si è da allora sviluppato. Da oltre cinquant’anni la Grande Galerie non accoglieva un evento di tale portata. Completa il percorso la presentazione della storia delle collezioni di Capodimonte nella cosiddetta salle de la Chapelle. Anche in questo caso la scelta del luogo non è casuale: il panorama che si gode dalla finestra ci ricorda che il Louvre e Capodimonte sono residenze reali che dominano, come il potere che rappresentavano, lo spazio urbano (l’antica strada che collegava il castello di Vincennes a quello di Versailles, passando sotto l’Arco di Trionfo, per il primo; la città di Napoli, con il Vesuvio e Capri sullo sfondo, per il secondo, e l’ambiente naturale (entrambi i palazzi sono circondati da un giardino, che nel caso di Capodimonte è uno dei più grandi parchi urbani d’Europa). 

Ma è soprattutto per la ricchezza e il carattere “enciclopedico” della raccolta di dipinti italiani che Capodimonte e il Louvre sono per molti versi complementari. La scelta della Grande Galerie come luogo di questo incontro ha necessariamente escluso le scuole non italiane, fatta eccezione per il Ritratto di Giulio Clovio di El Greco, esposto insieme alla Cassetta Farnese, e per la pala d’altare di Joos van Cleve, entrambi in mostra nella salle de la Chapelle. A causa delle traversie dinastiche che hanno segnato la storia della collezione Farnese, in gran parte parmense e romana, Capodimonte è un museo che, come il Louvre, offre un panorama della pittura italiana più completo di molte altre istituzioni della Penisola, che espongono in prevalenza opere appartenenti alla scuola pittorica del loro territorio […]
Capodimonte conserva naturalmente opere napoletane, ma anche un gran numero di opere veneziane, parmensi, fiorentine e romane… La selezione che abbiamo compiuto con i nostri colleghi napoletani riflette questa varietà. A sua volta, tra i grandi musei nati da una collezione dinastica, il Louvre vanta quella più equilibrata e completa in materia. 

Per alcuni mesi, la presenza dei dipinti di Capodimonte completa questa mirabile storia che si dipana sulle pareti del Salon Carré e della Grande Galerie, offrendo ai visitatori un dialogo inedito che probabilmente rimarrà un unicum per molto tempo. I generi del ritratto e del nudo rinascimentali sono particolarmente ben rappresentati in mostra, soprattutto nella “Tribuna” della Grande Galerie, dove, in uno spettacolare allestimento, la Danae di Tiziano è posta a confronto con il Sonno di Antiope di Correggio, non lontano dal Concerto campestre e dalla Venere del Pardo sempre di Tiziano, esposti nella salle des États, restaurata di recente.

Pur avendo scelto dipinti esclusivamente italiani, abbiamo privilegiato opere che sono in risonanza più o meno diretta con le altre collezioni del Louvre, in particolare con quella francese. […]
Auspichiamo che la presenza del Polittico di San Vincenzo Ferrer e San Girolamo nello studio del napoletano Colantonio riapra il dibattito sulla contiguità stilistica di questo artista con i pittori che gravitavano alla corte di re Renato d’Angiò, fra cui Barthelemy d’Eyck. Inoltre, potremo verificare de visu quanto la Pietà di Charles Le Brun, eseguita intorno al 1643-1645 per il cancelliere Seguier, sia debitrice della magnifica Pietà dei Carracci, che il futuro pittore di Luigi XIV studiò a lungo a Roma, a Palazzo Farnese dove si trovava l’opera.

Il visitatore potrà inoltre confrontare la Pietà napoletana del 1599-1600 con quella del Louvre, dipinta intorno al 1602, e osservare l’evoluzione dello stile di Annibale Carracci verso una dimensione apparentemente meno drammatica, più idealizzata. Il Museo di Capodimonte ha inoltre concesso in prestito l’Ercole al bivio (1595-1596), commissionato dal cardinale Odoardo Farnese per lo studio del suo palazzo romano, oggi sede dell’Ambasciata francese.

La presentazione congiunta dell’Ercole al bivio, della Pietà napoletana, della Pietà del Louvre e di altre tele conservate al Louvre, tra cui La Caccia e La Pesca […] offre un’eloquente sintesi dell’arte di Annibale Carracci, così importante non solo per lo sviluppo del classicismo francese del Seicento, ma anche per aver influenzato lo sguardo francese sull’arte italiana fino alla prima metà del XIX secolo.

La presenza al Louvre di alcuni dei dipinti di spicco del museo napoletano mette in luce – e colma temporaneamente – le lacune della collezione del Louvre, a cominciare da una delle più evidenti in un’istituzione in cui la pittura toscana è fortemente rappresentata: Masaccio. La Crocifissione, destinata ad ornare la parte superiore di una pala d’altare eseguita per la chiesa del Carmine a Pisa, costituisce, con lo strano modo in cui la testa è collegata al corpo del Cristo, uno dei primi tentativi nella storia dell’arte di rendere la visione prospettica da sotto in su. L’impressionante frontalità del Cristo crocifisso e il suo corpo verdastro rivaleggiano, per la forza del loro realismo, con l’intensità drammatica dei gesti e delle espressioni della Vergine, di San Giovanni e della Maddalena. La Crocifissione di Masaccio, esposta in fondo al Salon Carré, in prossimità dell’ingresso della Grande Galerie, fa da ponte tra il primo Rinascimento e il suo sviluppo nella seconda metà del Quattrocento.

Mentre il Louvre possiede una delle più eccezionali collezioni di pittori veneti del Cinquecento, in particolare Tiziano e Veronese, e alcune delle opere più straordinarie di Mantegna, può sorprendere quanto sia scarsamente rappresentato suo cognato, Giovanni Bellini. […] La Trasfigurazione di Capodimonte completa in maniera spettacolare l’immagine del pittore veneziano che il visitatore può acquisire girando tra le sale del Louvre. Si tratta di uno dei dipinti più ambiziosi dell’artista, in cui l’umano, il divino e il paesaggio si fondono in un equilibrio perfetto tra la nobiltà dei gesti degli apostoli, il candore sfolgorante della veste del Cristo e la morbida luce autunnale in cui è immerso l’entroterra veneto. Il visitatore non potrà fare a meno di confrontare la naturale successione dei vari piani e il carattere pittoresco delle pacifiche scene di vita rurale sullo sfondo con il paesaggio più astratto e anticheggiante del quasi contemporaneo San Sebastiano di Mantegna.

Oltre alle opere di Bellini, al Louvre – il cui Dipartimento di Arti Grafiche ospita alcune splendidi disegni dell’artista, tra cui un impetuoso studio per il Galeazzo Sanvitale – mancano dipinti di rilievo del Parmigianino. Capodimonte ne cede in prestito tre, che dialogano con il Ritratto di giovane uomo, un tempo ritenuto un autoritratto, proveniente dalla collezione di Luigi XIV, e con lo Sposalizio mistico di Santa Caterina, una piccola tavola acquisita nel 1992. Due dei ritratti più famosi del maestro trovano naturalmente posto nella Tribuna: l’enigmatico Antea e il Galeazzo Sanvitale, ambizioso ritratto di rappresentanza dalla complessa composizione giocata sull’opulenza dei materiali, l’abbondanza degli accessori dal denso significato simbolico e la ricca varietà di piani, che sarà interessante confrontare con l’Autoritratto del bresciano Savoldo, un tempo nella collezione di Francesco I.

C’è un caso in cui i limiti delle collezioni del Louvre, evidenziati dai prestiti di Capodimonte, aprono una riflessione critica sul nostro modo di presentare le opere per scuole “nazionali”: quello della pittura napoletana. Alla luce della complessa architettura del palazzo, e soprattutto a quella della disparità come pure della ricchezza delle sue collezioni, in cui dominano le “scuole” (se questo termine può ancora essere usato come tale oggi) francesi, italiane e nordiche, il Louvre continua ad adottare questo metodo di classificazione, a sua volta suddiviso in centri di produzione: Venezia, Bologna, Parma, Roma… 

Mentre la raccolta di arte barocca romana e bolognese è estremamente ricca al Louvre, lo stesso non si può dire della pittura genovese o lombarda. Anche il Seicento napoletano è rappresentato in modo esiguo. Per tale motivo gli abbiamo dedicato intere pareti dell’allestimento temporaneo: una con Sileno Ebbro, Apollo e Marsia di Ribera e Apollo e Marsia di Giordano, l’altra con la Madonna del Rosario di Giordano e le due grandi nature morte di Giuseppe Recco e di Abraham Brueghel/Giuseppe Ruoppolo, per poi concludere nella Sala Salvator Rosa con il San Sebastiano e il San Nicola di Bari di Mattia Preti e la Sant’Agata di Francesco Guarino. Questi gruppi di opere, esposti di fronte alle pareti che, insieme alla serie della Storie di Ercole di Guido Reni e quella dell’Hôtel de La Vrillière, celebrano i pittori bolognesi, introducono un elemento dissonante nel discorso sull’arte italiana proposto dalla Grande Galerie, a causa del loro realismo, se non addirittura del loro espressionismo. La loro presenza ci invita quindi a interrogarci sulla “narrazione” che proponiamo, sulla nostra comprensione dei rispettivi meriti dei vari centri di produzione, sull’impatto della storia delle collezioni sulla nostra percezione contemporanea, ma anche sui limiti (teorici) di una presentazione basata sulle scuole “nazionali”.

Il caso di Ribera è, a tal proposito, interessante. Il Louvre possiede quattro grandi capolavori dell’artista, nato nei pressi di Valencia, in Spagna, ma attivo soprattutto a Napoli sotto la protezione del viceré spagnolo, il duca di Osuna. Di questi quattro dipinti, tre sono indubbiamente di origine napoletana: San Paolo Eremita, eseguito nel 1642, Lo Storpio, celebre tela della collezione La Caze datata dello stesso anno e firmata “Jusepe de Ribera español F. 1642”, L’Adorazione dei Pastori, firmato “Jusepe de Ribera español / Accademico Romano / F, 1650”.

Al Louvre, queste tele sono esposte tra i dipinti spagnoli e non nella Grande Galerie, dove trionfano la pittura romana e quella bolognese, e nemmeno nella sala Salvator Rosa insieme alle altre opera napoletane. Questa scelta è giustificata dalla presunta origine di Ribera e dalla situazione politica della Napoli borbonica. Ma solo in parte, perché questa presentazione, che più prosaicamente ha il merito di arricchire la collezione spagnola del Louvre, deve essere riesaminata; è importante capire come la brutalità del Sileno Ebbro di Ribera e la violenza di Apollo e Marsia, così come quella più affettata di Giordano, concessi in prestito da Capodimonte, sconvolgano l’ordine equilibrato dell’allestimento abituale. Suscita un’osservazione analoga anche la crudeltà di Giuditta e Oloferne di Artemisia Gentileschi o la carica omoerotica di Caino e Abele di Lionello Spada.
Viene allora naturale chiedersi: la presentazione dei dipinti di Ribera eseguiti a Napoli nella galleria della pittura spagnola più distante, non potrebbe essere un modo per tracciare una storia dell’arte italiana, rifiutando il naturalismo in favore del nitore della linea, della forza classicheggiante ed equilibrata delle tele bolognesi e romane, attenuando gli effetti troppo drammatici del chiaroscuro in favore di una raffinatezza del colore e di una sapiente eleganza del tratto? Ci troviamo di fronte a un modo squisitamente francese di guardare all’arte italiana del Seicento, segnata storicamente dal predominio di Roma e del classicismo in generale nel gusto dei collezionisti dei secoli passati, e da cui ancora oggi dipendiamo.

La Madonna del Rosario di Giordano, affiancata dalle due monumentali nature morte di Recco e di Brueghel/Ruoppolo, presenta, in questo contesto, un sapore quasi esotico, nella loro opulenza e nel loro eccesso. Le opere di Capodimonte nella collezione di pittura italiana del Louvre non ci invitano solo a guardare e ad ammirare, ma ci spingono anche a esaminare con uno sguardo critico la nostra percezione dell’arte italiana, i nostri pregiudizi, i nostri gusti, il modo in cui la narriamo e la mettiamo in scena. Invitando il Museo di Capodimonte a prendere posto nella Grande Galerie, il Louvre scrive una nuova pagina di questa storia comune, una storia europea.

PERCORSO ESPOSITIVO

SALON CARRÉ, GRANDE GALERIE, SALLE ROSA 

All’interno della Grande Galerie, trentuno dei dipinti concessi in prestito da Capodimonte sono stati collocati secondo un allestimento originale volto a stimolare un dialogo fecondo tra le due collezioni di pittura italiana, da cui emerge la loro complementarietà. Ne è prova ad esempio la straordinaria rassegna di ritratti eseguiti tra il 1500 e 1530 a Roma, Firenze o Venezia. Questa sinergia che culmina con alcuni prestiti eccezionali di opere dipinte a Napoli solleva interrogativi sul carattere della collezione del Louvre, evidenziandone i punti di forza e i limiti che sono l’esito della sua storia e dei rapporti intensi intrattenuti dalla Francia con gli artisti attivi in Italia, a partire dal Rinascimento. 

IL TRIONFO DI GIOVANNI BELLINI. COMPLEMENTARIETÀ DELLE COLLEZIONI
Il Louvre vanta una collezione straordinaria di pittori veneti del Cinquecento, in particolare Tiziano e Veronese, esposti nella Salle des États. La raccolta è meno ricca per il Quattrocento, in particolare per quanto riguarda le opere di Giovanni Bellini, cognato di Mantegna (quest’ultimo mirabilmente rappresentato nelle collezioni del Louvre). L’eccezionale prestito della Trasfigurazione di Capodimonte, una delle tavole più ambiziose di Giovanni Bellini, completa in maniera spettacolare l’immagine del pittore veneziano che il visitatore può acquisire girando tra le sale del Louvre. 

COLANTONIO, IL MAESTRO DEL PRIMO RINASCIMENTO NAPOLETANO
Il prestito di due monumentali pale d’altare di Colantonio apre uno squarcio illuminante sull’ambiente napoletano del Quattrocento. Colantonio, maestro di Antonello da Messina, è il maggior esponente della pittura napoletana al tempo del regno di Renato d’Angiò (1438-1442) e del primo sovrano d’Aragona, Alfonso il Magnanimo (1442-1458). La sua contiguità stilistica con gli artisti fiamminghi e provenzali che gravitavano alla corte del re Renato, come Barthélemy van Eyck (ala Richelieu), testimonia il ruolo di primo piano svolto dalla Napoli rinascimentale quale centro di irradiazione artistica per tutto il Sud Italia. 

UN MANIFESTO SCIENTIFICO AL SERVIZIO DELL’UMANESIMO
Il Ritratto di fra Luca Pacioli con un allievo, con i suoi riferimenti complessi alla cultura matematica e scientifica dell’epoca, è uno dei dipinti che meglio illustrano l’umanesimo rinascimentale. La tavola è stata tradizionalmente attribuita a un artista veneziano vicino ad Albrecht Dürer, Jacopo de’ Barbari (1475-1516 ca.), la cui firma compare in forma abbreviata nel cartiglio in basso a destra del dipinto. Sono state tuttavia proposte attribuzioni diverse. Il confronto ravvicinato con altri pittori attivi tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo, consentito dal peculiare allestimento del Louvre, potrebbe aprire prospettive nuove inmerito alla paternità di quest’opera. 

NELLA TRIBUNA
La “Tribuna”, lo spazio più prestigioso della Grande Galerie, indicato da otto colonne, ospita a confronto due tra i nudi più belli del Rinascimento: la Danae di Tiziano, proveniente da Capodimonte e Il Sonno di Antiope di Correggio appartenente alle collezioni del Louvre. Considerata l’esigua presenza di opere del Parmigianino tra le collezioni del dipartimento di pittura, da Napoli sono giunti in soccorso due dei suoi ritratti più belli, l’enigmatica Antea e Galeazzo Sanvitale. La coppia di dipinti rivaleggia in finezza e capacità di penetrazione psicologica con i due ritratti iconici del Louvre: quello di Baldassarre Castiglione e l’Autoritratto con un amico di Raffaello. 

L’ARTE DEL RITRATTO
I ritratti del Parmigianino, il maestoso Clemente VII di Sebastiano del Piombo e il Giovane di Rosso Fiorentino tutti inviati da Capodimonte, accanto ai dipinti del Louvre – dai ritratti di Raffaello all’Uomo dal guanto di Tiziano e all’Autoritratto di Savoldo – esposti nella Salle des États, consentono di tracciare a grandi linee un profilo della ritrattistica degli anni 1515-1545, così come si sviluppò tra Venezia, Roma e Firenze. L’accostamento delle due collezioni, la napoletana e la parigina, offre un florilegio inedito dei capolavori più emblematici del genere. Tre mirabili ritratti di Tiziano, sempre prestati da Capodimonte ed esposti nella Salle de la Chapelle, completano questo suggestivo percorso.

CARAVAGGIO A NAPOLI
Alle collezioni del Louvre appartengono tre opere di Caravaggio tra cui la Morte della Vergine, eseguita tra il 1601 e il 1606 a Roma, poco prima della condanna per omicidio del pittore e della sua fuga a Napoli. Il prestito della Flagellazione, dipinta nel 1607 per la chiesa di San Domenico Maggiore, consente di esporre un’opera del suo periodo napoletano. È di poco anteriore al ritratto di Alof de Wignacourt, conservato al Louvre e realizzato intorno al 1608, anno in cui l’artista salpa da Napoli alla volta di Malta. Presentare insieme queste tre opere, legate a un momento particolarmente fecondo della carriera dell’artista, morto a Porto Ercole nel 1610, richiama l’attenzione sulla portata della rivoluzione operata da Caravaggio nella pittura. Il suo straordinario dominio del chiaroscuro e l’approccio naturalista della composizione avrebbero influenzato gli artisti attivi nella Napoli del Seicento, tra cui Jusepe de Ribera. 

UN CAPOLAVORO DIPINTO PER PALAZZO FARNESE A ROMA
Ercole al bivio fu eseguito nel 1596 su richiesta del cardinale Odoardo Farnese per ornare il soffitto dello studio del suo palazzo romano, oggi sede dell’Ambasciata francese. Dall’opera trapela lo stupore di Annibale Carracci (1560-1609), appena approdato a Roma da Bologna, di fronte alla scoperta dell’antichità classica. L’accostamento di questo dipinto alle due Pietà e a La Caccia e La Pesca, donate dal principe Camillo Pamphili a Luigi XIV, offre un compendio straordinario dell’arte  di Annibale Carracci, così importante non solo per lo sviluppo del classicismo francese del Seicento, ma anche perché avrebbe influenzato fino ai giorni nostri lo sguardo francese sull’arte italiana.

GUIDO RENI: L’ELEGANZA DELLA LINEA
Il quadro di Capodimonte dell’Atalanta e Ippomene di Guido Reni (1575-1642) fa da stupenda eco alla Storia di Ercole del Louvre, grazie all’elegante padronanza della linea e alla raffinata complessità delle forme e dei movimenti. L’opera integra mirabilmente la già ricca collezione di tele bolognesi e romane del Seicento, molto apprezzate e ricercate da sovrani e collezionisti francesi del XVII e del XVIII secolo. Questo orientamento del gusto segna il trionfo di una visione classicheggiante della pittura italiana, fondata sul primato del disegno e su un raffinato colorismo. Il prestito di altre opere di Capodimonte, in particolare di quelle dipinte a Napoli, consente il confronto con una corrente più realista, caratterizzata dalla crudezza delle scene e dai contrasti chiaroscurali, eredità della lezione caravaggesca. 

UN MODO DIVERSO DI RACCONTARE LA PITTURA ITALIANA
La temporanea presenza nella Grande Galerie di opere di artisti che in genere non vi sono esposti, o lo sono limitatamente, permea di accenti diversi il discorso sull’arte italiana del Seicento che si dipana tra le sale del Louvre. Emblematico in tal senso il caso del pittore spagnolo Jusepe de Ribera (1591-1652), la cui brillante carriera si svolse per la maggior parte a Napoli. Le sue opere sono in genere esposte nelle sale spagnole, mentre le tele prestate da Capodimonte, presentate in questa occasione, introducono una nota espressiva, si direbbe espressionista, un tono cupo e intensamente drammatico che contrasta con l’armonia e l’eleganza classicheggiante del filone romano-bolognese, ben rappresentato al Louvre.

L’OPULENZA DEL BAROCCO NAPOLETANO
La Madonna del Rosario di Luca Giordano, e le due monumentali nature morte che l’affiancano, tipicamente napoletane nella loro opulenza e grandiosità, acquistano tra le sale del Louvre un gusto quasi esotico. Questo imponente insieme è ispirato all’allestimento visibile nelle sale del museo di Capodimonte dedicate alla pittura barocca: come in un sontuoso ex-voto, si ha qui l’impressione che le ricchezze della terra e del mare vengano presentate come offerte a una Vergine benevola e protettrice. Questa Madonna, caratterizzata da una tavolozza luminosa tipica della maturità di Giordano, fu ammirata e copiata spesso dai pittori francesi, in particolare da Fragonard, durante il suo soggiorno a Napoli nel 1781. 

MATTIA PRETI, IL CAVALIER CALABRESE A NAPOLI
La conquista dell’Italia meridionale da parte degli spagnoli all’inizio del XVI secolo portò all’instaurazione di un viceregno che si protrasse fino al 1707. Crocevia commerciale e porto strategico, Napoli fu nel Seicento una delle città più popolose d’Europa. Nonostante le grandi catastrofi che la colpirono – la violenta eruzione del Vesuvio del 1631 e soprattutto la terribile peste del 1656 che decimò metà della popolazione – la città fu nel XVII secolo un importante centro artistico. L’eredità di Caravaggio, assimilata e superata da Ribera, fu fonte di ispirazione per gli artisti nati nella regione di Napoli. Il più importante di questa generazione fu probabilmente Mattia Preti, detto il Cavalier Calabrese, che dopo un lungo soggiorno a Roma si stabilì nella capitale partenopea per alcuni anni, dal 1653 al 1661, per poi proseguire la sua carriera a Malta.

SALLE DE LA CHAPELLE
DAI FARNESE AI BORBONE, STORIA DI UNA COLLEZIONE 

Nel 1758 Carlo di Borbone, re di Napoli dal 1734, fa trasferire la collezione ereditata dalla madre, Elisabetta Farnese, nella Reggia di Capodimonte, in costruzione su una collina che domina la città e la baia di Napoli. Gli straordinari oggetti d’arte, dipinti e sculture esposti nella mostra permettono di ripercorrere la storia della collezione, che ha i suoi vertici nell’eredità dei Farnese e nel mecenatismo dei Borbone di Napoli. 

L’EREDITÀ DEI FARNESE
Il nucleo centrale delle collezioni del museo di Capodimonte proviene da un gruppo di opere d’arte di capitale importanza trasmesse in eredità da Elisabetta Farnese al figlio Carlo di Borbone, che ascese al trono di Napoli nel 1734. Costituita nell’arco di due secoli da papa Paolo III Farnese (1468-1546), dal nipote cardinale Alessandro Farnese (1520-1586) e dai loro discendenti, questa collezione dinastica è conservata nei sontuosi palazzi di famiglia, in larga parte a Roma, a Parma e a Piacenza. Nella raccolta spiccano capolavori di maestri della pittura come Tiziano o Parmigianino, come pure pezzi antichi e oggetti ornamentali di straordinaria fattura quale la Cassetta Farnese.

LO SPLENDIDO SCRIGNO DEL GRAN CARDINALE
Gioiello d’oreficeria di rappresentanza, la Cassetta Farnese fu commissionata dal cardinale Alessandro Farnese all’orafo fiorentino Manno di Bastiano Sbarri, allievo di Benvenuto Cellini, e a Giovanni Bernardi da Castelbolognese, celebre intagliatore di cristalli di rocca. I preziosimateriali e le tecniche raffinate utilizzati per la sua realizzazione ne fanno uno degli oggetti più illustri del Rinascimento europeo. 

TRASFERIMENTO DI UNA COLLEZIONE DINASTICA
La presenza sulla collina di Capodimonte di una pinacoteca così ricca di dipinti provenienti da tutte le maggiori casate italiane si deve tanto alle circostanze delle successioni dinastiche quanto all’attiva politica artistica condotta da Carlo di Borbone (1716-1788). Alla sua ascesa al trono di Napoli e di Sicilia, Carlo eredita opere della collezione Farnese, conservate nei palazzi di famiglia a Roma, Parma e Piacenza, e decide di trasferirle tutte nella capitale del suo Regno divenuto ormai indipendente. Nel 1758, fa trasportare dipinti, libri e monete nella sua residenza reale di Capodimonte, in costruzione su progetto di Giovanni Antonio Medrano e Antonio Canevari in un grande parco. 

IL MECENATISMO DEI BORBONE E LE MANIFATTURE DI PORCELLANA
Per elevare Napoli al rango di capitale dell’Europa dei Lumi, Carlo di Borbone vi fa edificare il magnifico teatro lirico San Carlo nel 1737, come pure la Real Fabbrica della Porcellana di Capodimonte (1743-1759), nel Parco della Reggia omonima. Dopo la partenza della coppia reale per la Spagna, nel 1759, il figlio Ferdinando IV prosegue la loro opera e fonda a Portici la Real Fabbrica Ferdinandea (1771-1806). Sostenuta dal mecenatismo reale, questa manifattura produce sontuosi servizi da tavola che conquistano le corti europee, nonché oggetti ornamentali in porcellana biscuit, il cui candore si accorda perfettamente alla passione per l’antico dell’epoca, supportata dalla scoperta di Ercolano e Pompei. 

UNA CASCATA DI GIGANTI
Destinato ad adornare la tavola durante i banchetti, questo gruppo monumentale è una testimonianza stupefacente dei fasti della corte dei Borbone. Formatosi a Roma presso l’Accademia di San Luca, poi a Vienna, lo scultore Filippo Tagliolini giunge a Napoli nel 1780 e svolge un ruolo centrale, come capomodellatore, nel rilancio della produzione della porcellana della Real Fabbrica Ferdinandea.

DA RESIDENZA REALE A MUSEO
A cavallo tra ‘700 e ‘800, le invasioni delle truppe francesi e il breve regno di Giuseppe Bonaparte sconvolgono la vita del Regno; Gioacchino Murat, re di Napoli dal 1808 al 1815, fa di Capodimonte la sua residenza. Dopo questa parentesi francese, Ferdinando di Borbone, rimesso sul trono con il titolo di Ferdinando I delle Due Sicilie, fa trasferire le collezioni al Palazzo degli Studi, situato in città, per fondare un grande museo. Dopo l’unificazione italiana nel 1860, il museo diventa proprietà dello Stato. La politica di acquisizione prosegue: nel 1957, la collezione antica, nucleo centrale del Museo archeologico, resta in loco mentre la pinacoteca viene trasferita nel nuovo Museo Nazionale di Capodimonte.

SALLE DE L’HORLOGE
CARTONI ITALIANI DEL RINASCIMENTO, 1500–1550. MICHELANGELO E RAFFAELLO A CONFRONTO

Canonico di San Giovanni in Laterano e umanista, Fulvio Orsini (1529-1600) fu responsabile, dal 1558, della biblioteca dei Farnese a Roma e, raffinato collezionista qual era, possedette i più pregiati cartoni conservati oggi al Museo di Capodimonte. Cedette in lascito la collezione al nipote del suo protettore, il cardinale Odoardo Farnese (1573-1626). Nel 1759, su iniziativa del futuro Carlo III di Spagna, erede dei beni dei Farnese, i cartoni furono trasferiti a Napoli, dove si trovano tuttora. Quanto al Louvre, i cartoni rinascimentali italiani conservati nelle collezioni del museo provengono dal Cabinet du roi, dalla confisca dei beni degli emigrati nel 1793 durante la Rivoluzione francese, dalle prese militari in Italia anteriori al 1802, da un’acquisizione del museo nel 1850 e dalla donazione del barone Edmond de Rothschild nel 1935. La mostra presenta alcuni capolavori di queste due istituzioni.

DAL CARTONE AL DIPINTO: IL RIPORTO DEL DISEGNO
I cartoni servono per trasferire il disegno sul supporto da dipingere. Eseguiti a penna, inchiostro e acquarellature a inchiostro, per quanto riguarda i più piccoli, oppure a carboncino e/o matita nera, talvolta lumeggiati di bianco per i più grandi, essi sono tracciati sul numero di fogli necessari a coprire l’intera superficie dell’opera finita. Il riporto del disegno si effettua con la tecnica dello spolvero (letteralmente “con la polvere”) o con uno stilo. 

Il riporto mediante lo spolvero
Per riportare un disegno preparatorio mediante lo spolvero, l’artista ne bucherella i contorni con un ago. Quindi appoggia il cartone sulla superficie da dipingere e ne tampona le parti bucherellate con un sacchetto di tela leggera contenente una polvere fine e scura. Passando attraverso il tessuto e i forellini del cartone, la polvere si deposita per piccoli punti sulla superfice da dipingere. Una volta tolto il cartone, il disegno vi appare punteggiato. In genere, il riporto mediante lo spolvero viene effettuato direttamente sulla superficie da dipingere, ma a volte è necessario trasferire i contorni di una parte del cartone su un altro foglio, detto “cartone ausiliario”, dove il soggetto può essere rielaborato nei dettagli. 

Il cartone sostitutivo
L’uso dello spolvero rischia di sporcare e graffiare il cartone. Per evitare di danneggiare il “ben finito cartone”, spesso il pittore lo appoggia su un “cartone sostitutivo” costituito da fogli bianchi assemblati. Dopo aver sovrapposto i due cartoni in modo da renderli perfettamente combacianti, l’artista li bucherella insieme. Solo il cartone sostitutivo viene utilizzato per il riporto della composizione e rischia di essere rovinato, mentre il cartone disegnato, il “ben finito cartone”, èpreservato, può ancora servire al pittore come modello visivo in scala 1/1 e diventare un oggetto da collezione. 

Il riporto mediante una punta dura o lo stilo
Il riporto del disegno del cartone si può ottenere anche sfregandone il verso con carbone o nerofumo, poi ripassando i motivi del recto con una punta dura (o uno stilo) mentre il cartone è appoggiato sulla superficie da dipingere. La pressione esercitata dalla punta sul recto genera un sottile solco che trasferisce il pigmento scuro del verso sul supporto dell’opera da eseguire, realizzando così il riporto del disegno. Come avviene con la tecnica dello spolvero, per non danneggiare il cartone disegnato viene talvolta eseguito un cartone sostitutivo di dimensioni identiche. Il cartone sostitutivo, annerito sul verso, viene allora posizionato sotto il cartone disegnato, nel momento in cui se ne ripassano i contorni con la punta dura.

Dettagli

Inizio:
7 Giugno
Fine:
8 Gennaio 2024
Categoria Evento:
Tag Evento:
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Luogo

PARIGI
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