DAI MEDICI AI ROTHSCHILD
MECENATI, COLLEZIONISTI, FILANTROPI

dal 18 novembre 2022 al 26 marzo 2023

IMostra a cura di Fernando Mazzocca e Sebastian Schütze con il coordinamento generale di Gianfranco Brunelli.

La mostra, realizzata in partnership con i Musei del Bargello e la Alte Nationalgalerie – Staatliche Museen zu Berlin, con la collaborazione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città metropolitana di Milano e il patrocinio del Comune di Milano, presenta oltre 120 opere di diverse epoche provenienti da prestigiosi musei internazionali come National Gallery di Londra, Musée du Louvre di Parigi, Albertina di Vienna, Staatliche Museen di Berlino e The Morgan Library & Museum di New York. 

In mostra autori come Verrocchio, Michelangelo, Bronzino, Caravaggio, Gherardo delle Notti (Gerrit van Honthorst), Valentin de Boulogne Antoon Van Dyck, Angelika Kauffmann, Francesco Hayez, e un inedito di Giorgio Morandi.

Giovanni Bazoli, Presidente Emerito di Intesa Sanpaolo, afferma: “Intesa Sanpaolo presenta un’originale e raffinata esposizione che racconta come dal Rinascimento all’età moderna la relazione tra banchieri e artisti abbia trasformato la ricchezza finanziaria in un patrimonio artistico di inestimabile valore. La fiducia e l’appoggio accordato a grandi artisti da figure illuminate di banchieri e mecenati hanno prodotto nel corso dei secoli la nascita di tanti capolavori. Alcuni di essi possono essere ammirati in questa mostra grazie ai prestiti concessi da musei nazionali e internazionali. La storia del mecenatismo interessa in modo particolare la nostra banca, costantemente impegnata a promuovere arte e cultura, nel solco dell’esempio lasciato dal banchiere umanista Raffaelle Mattioli.”

Da Cosimo e Lorenzo de’ Medici ai Rothschild, molti dei maggiori mecenati, collezionisti e filantropi di tutti i tempi sono stati dei grandi banchieri che hanno voluto consacrare la loro ascesa sociale gareggiando con l’aristocrazia e i sovrani nel proteggere e incoraggiare gli artisti, anche acquistando le loro opere. Alcune di queste collezioni sono andate disperse, altre invece sono confluite nei musei e altre infine, giunte sino a noi, sono ancora possedute dagli eredi di coloro che le avevano realizzate. Per i grandi banchieri, mecenatismo artistico e collezionismo appaiono strumenti strategici di rappresentazione e di affermazione sociale o meglio un esempio eloquente della sapiente trasformazione di capitale economico in capitale culturale e simbolico. A molte di queste figure sono stati dedicati studi importanti, ma esistono casi in attesa di nuove ricerche. 

La mostra può essere l’occasione per originali approfondimenti e per una riconsiderazione nei secoli di questo fenomeno attraverso l’analisi di personaggi che hanno segnato in modo incisivo la storia del collezionismo e del gusto, come Cosimo e Lorenzo de’ Medici, le famiglie Giustiniani e Torlonia, Enrico Mylius e, nell’area mitteleuropea, Moritz von Fries, Johann Heinrich Wilhelm Wagener, Nathaniel Mayer Rothschild, e in America John Pierpont Morgan.

Attraverso i loro ritratti, le testimonianze della loro eccezionale vicenda biografica, spesso ricca di importanti iniziative umanitarie, e soprattutto grazie ad opere d’arte esemplari delle loro raccolte, è possibile rievocare la loro figura e le scelte collezionistiche.

A testimonianza del gusto e delle scelte collezionistiche di questi personaggi la mostra presenta una grande varietà di generi artistici: dipinti, sculture, disegni, incisioni, bronzetti, medaglie e preziosi cammei. 

Tra le opere di maggior rilievo si segnalano il Putto con delfino del Verrocchio, la Crocifissione di Annibale Carracci, la Madonna della scala di Michelangelo, il San Gerolamo Penitente di Caravaggio, il Ritratto del conte Josef Johann von Fries di Angelika Kauffmann, il Ritratto di Everhard Jabach di Antoon van Dyck, La fuga di Bianca Cappello da Venezia di Francesco Hayez e l’inedita Natura morta di Giorgio Morandi.

Il percorso espositivo si articola in undici sezioni, ciascuna dedicata ad una figura di banchiere. La sezione finale ricorda la luminosa figura del banchiere “umanista” Raffaele Mattioli, protagonista della rinascita economica e culturale nell’Italia del difficile dopoguerra. Grande ammiratore di Giacomo Manzù, Giorgio Morandi e Renato Guttuso, le sue prestigiose acquisizioni per la Banca Commerciale e il suo impegno nella grande editoria hanno costituito uno straordinario esempio, a cui il “Progetto Cultura”, il programma pluriennale delle iniziative culturali di Intesa Sanpaolo, ha dato continuità e conferma.

SEZIONI DELLA MOSTRA

Le Gallerie d’Italia propongono un originale approfondimento sul tema del rapporto tra il mondo della finanza e quello dell’arte, offrendo un percorso di respiro internazionale con molti capolavori appartenuti alle collezioni d‘arte di alcuni tra i più significativi banchieri della storia. Partendo dall’eccezionale stagione dei Medici, la mostra si conclude con un omaggio all’attività di mecenate del presidente della Comit Raffaele Mattioli, il cui esempio continua a ispirare l’impegno in cultura di Intesa Sanpaolo. 

Il dialogo intenso e le relazioni privilegiate tra artisti e committenti costituiscono uno dei nodi cruciali per lo sviluppo delle arti. Capolavori di tutti tempi sono nati grazie all’incontro e alle sinergie tra genio artistico da un lato e idee, ambizioni e mezzi economici di un mecenatismo illuminato dall‘altro. 

Tra i committenti più facoltosi e munifici, ma anche più raffinati e lungimiranti, si distinguono i banchieri che, tra Rinascimento e età moderna, acquisirono un ruolo sempre più dominante nella vita economica, ma anche politica e culturale della società. 

La mostra illustra il loro agire come mecenati, collezionisti e filantropi e racconta di come, per molti di essi, le collezioni d’arte diventarono uno strumento estremamente duttile per rappresentare il proprio successo economico ed esibire le proprie convinzioni estetiche ma anche, a partire dal secolo dei lumi, per contribuire alla crescita culturale e civile della nazione attraverso la trasformazione delle loro raccolte in collezioni accessibili al pubblico e fondazioni, o destinandole a musei pubblici. 

Se committenze artistiche, collezionismo e filantropia attraverso i secoli fanno parte del modus operandi dei grandi banchieri, sono invece le scelte individuali e il gusto che distinguono ognuno di loro e determinano l’impatto durevole dei loro investimenti in arte e cultura. 

L’esposizione presenta alcuni tra i banchieri mecenati, collezionisti e filantropi più importanti della storia. L’ambizione del progetto è di affrontare il tema in una prospettiva comparativa e internazionale, esplorando scelte individuali e habitus collettivo tracciando una linea di sviluppo dal XVI al XX secolo. L’esposizione si articola in undici sezioni, ognuna dedicata a un banchiere. Sono banchieri italiani, francesi, tedeschi, austriaci e americani che operarono in tempi, luoghi e contesti molto diversi, lasciando però un segno inconfondibile nella storia del loro tempo. 

I Medici. Da Cosimo il Vecchio a Lorenzo il Magnifico

Nell’età del Rinascimento, che ha visto dominare sulla scena italiana ed europea le famiglie dei potenti banchieri toscani, attivi tanto a Lucca che a Firenze quanto a Bruges, il maggiore centro economico e artistico delle Fiandre, si impongono figure leggendarie come quelle di Cosimo il Vecchio e Lorenzo de’ Medici, il Magnifico.
Oltre all’opportunità di guadagni ingenti, il mestiere di banchiere aveva garantito alla famiglia Medici l’ascesa sociale e sempre maggiore peso politico, cui si affiancarono un mecenatismo di altissimo rilievo e l’acquisto di capolavori assoluti. Dotato di un’eccellente cultura umanistica, Cosimo collezionò soprattutto manoscritti antichi e gemme, mentre affidò le più prestigiose commissioni ai maggiori artisti dell’epoca, tra i quali Donatello, impegnandosi anche in grandiose imprese architettoniche. Al mecenatismo di Cosimo e del figlio Piero il Gottoso, fece seguito quello eccezionale di Lorenzo. Non solo collezionista di antichità, cammei, testi miniati, sculture e dipinti, il Magnifico fu protettore di Giuliano da Sangallo, del Verrocchio, di Piero e Antonio del Pollaiolo, sostenitore dell’accademia filosofica neoplatonica e fondatore della scuola per scultori nel Giardino di San Marco, dove si formò il giovane Michelangelo. Si servì degli artisti, inviati presso vari sovrani, anche nella sua accorta strategia politica, tesa all’esaltazione delle glorie della cultura e dell’arte toscana, contribuendo a instaurare il mito di Firenze nel mondo.

Vincenzo Giustiniani: un nobile genovese tra venerazione dell’Antico e passione per Caravaggio

Nobili mercanti genovesi e possessori dell’isola di Chios, i Giustiniani spostarono, dopo la conquista dell’isola da parte degli ottomani, gran parte dei loro interessi nella Roma papale. Mentre Benedetto Giustiniani intraprese la carriera ecclesiastica, divenendo cardinale nel 1586, il fratello Vincenzo si assicurò il controllo della depositeria generale dello Stato Pontificio. La loro residenza, il centralissimo Palazzo Giustiniani, era strategicamente posizionato tra il Pantheon e Piazza Navona, e ospitava una delle collezioni più importanti di scultura antica con capolavori assoluti come l’Atena Giustiniani. I fratelli Giustiniani erano poi tra i sostenitori più convinti di Caravaggio e dei caravaggeschi che presto giunsero a Roma da tutta l’Italia, ma anche dalla Spagna, dalla Francia e dai paesi nordici. Le sale di Palazzo Giustiniani ospitavano non meno di 15 opere di Caravaggio, accanto a capolavori di Valentin de Boulogne, Simon Vouet e Nicolas Regnier, di Jusepe de Ribera, Gerrit van Honthorst, Dirck van Baburen e Joachim von Sandrart. Una straordinaria palestra del caravaggismo internazionale, che Vincenzo aprì con grande liberalità ad artisti, conoscitori e collezionisti. Sino al primo Ottocento gran parte dei tesori rimase in possesso della famiglia; in seguito, a causa delle crisi finanziarie nate con l’occupazione francese di Roma, i Giustiniani iniziarono a cedere i propri tesori artistici, vendendo gran parte delle antichità ai Torlonia e i dipinti al re di Prussia.

Il collezionismo della famiglia Torlonia: tra finanza, mecenatismo e apprezzamento dell’Antico

Con straordinaria abilità e sborsando la cifra esorbitante di 16.000 scudi, il banchiere Giovanni Raimondo Torlonia era riuscito, sfidando le committenze sovrane, ad ottenere la traduzione in marmo del gruppo colossale dell’Ercole e Lica di Antonio Canova, destinato a diventare emblema della grandezza e del mecenatismo della famiglia. Da quel clamoroso acquisto sarebbe scaturito il più efficace ritorno d’immagine per i Torlonia che avevano accumulato una ricchezza esorbitante muovendosi con abilità nel mutevole panorama politico romano degli anni turbolenti tra governo pontificio e dominazione francese, conquistando infine la dignità nobiliare, che fu accompagnata da un collezionismo di altissimo livello.
Entro il 1813 il gruppo canoviano fu ambientato nel sontuoso palazzo di piazza Venezia (demolito nel 1901), che era stato decorato con affreschi e dipinti di Gaspare Landi e di Pelagio Palagi, in collaborazione con il giovanissimo Francesco Hayez, mentre contemporaneamente prendeva forma una eccezionale raccolta d’arte antica che riuniva le opere provenienti dalla collezione del principe Vincenzo Giustiniani e dello scultore Bartolomeo Cavaceppi e, in seguito, quelle appartenute al cardinale Albani. Alla scomparsa di Giovanni Torlonia spetterà a Bertel Thorvaldsen il compito di fissare nel marmo il suo ritratto, nel quale senza alcuna idealizzazione ci viene restituita l’immagine del potente banchiere e dello spregiudicato uomo d’affari.

Heinrich Mylius milanese

Originario di Francoforte su Meno, ma trasferitosi giovanissimo a Milano nel 1788, l’industriale e banchiere Enrico Mylius fu una personalità ricca e complessa, che seppe far convogliare istanze di matrice illuminista e valori cristiani in una nuova visione imprenditoriale fondata sull’innovazione tecnologica e sull’istruzione, puntando al progresso generale di una società senza esclusi.
A questo milanese d’elezione, figura cardine degli scambi economici tra Germania e Italia durante la Restaurazione, interlocutore privilegiato con gli ambienti culturali tedeschi, spetta il merito di aver saputo intessere una rete di relazioni di altissimo livello, che comprendeva figure del calibro di Friedrich Schiller, Vincenzo Monti, Gaetano Cattaneo, Johann Wolfgang Goethe, Alessandro Manzoni, contribuendo all’ascesa di Milano quale capitale culturale cosmopolita nei primi decenni dell’Ottocento.
Da un doloroso ricordo privato, la prematura scomparsa dell’unico figlio Giulio, nacque il progetto artistico che Mylius realizzò nella sua villa di Loveno sopra Menaggio sul Lago di Como, dove raccolse i ritratti dei membri della famiglia eseguiti da Pelagio Palagi e Francesco Hayez, la Veduta della filanda di Boffalora di Giovanni Migliara e la collezione di sculture che comprendeva opere di Bertel Thorvaldsen, Pompeo Marchesi, Democrito Gandolfi, testimonianze private dei luoghi, degli affetti, delle attività della famiglia, proiettati in una più profonda dimensione esistenziale e universale.

Ambrogio Uboldo, il banchiere filantropo e il collezionista 

Nel 1838 al banchiere Ambrogio Uboldo veniva concesso il titolo di “Cavaliere, Nobile di Villareggio”, quale riconoscimento della fedeltà all’impero asburgico, dell’amore per gli studi, del sostegno offerto agli artisti.
L’elevata posizione sociale e gli ingenti proventi dell’attività bancaria, consentirono a Uboldo di inserirsi da protagonista nell’ambiente culturale milanese quale generoso benefattore che aveva improntato la sua vita al “costante interessamento per la povertà sofferente” e alla promozione delle “Arti Belle”. La sua raccolta, certamente anche strumento di esibizione dello status raggiunto, era una delle più ricche della Milano di metà Ottocento, visitabile su richiesta e segnalata nelle guide della città.  Vi si ritrovavano tutti generi: vedute urbane, paesaggi, soggetti storico-letterari, insieme a una serie importante di opere sul tema accademico del nudo, maschile e femminile, a scala del vero, sul quale si erano confrontati grandi pittori del calibro di Francesco Hayez, Luigi Sabatelli, Ludovico Lipparini, come pure gli scultori Innocenzo Fraccaroli, Cincinnato Baruzzi, Luigi Ferrari.
Divisa tra il palazzo milanese e la villa suburbana di Cernusco sul Naviglio – infine convertita in ospedale secondo le volontà testamentarie del proprietario – la collezione comprendeva anche reperti archeologici, piante rare e soprattutto un’armeria antica davvero eccezionale per la quantità e la straordinaria qualità dei pezzi, che durante le Cinque giornate di Milano del 1848 fu assaltata dagli insorti, decisi ad appropriarsi di quelle armi per fronteggiare gli austriaci. 

Moritz von Fries: i fasti di un banchiere calvinista nella Vienna imperiale

Johann von Fries, membro di una famiglia di mercanti e banchieri di Mühlhausen ebbe una folgorante carriera al servizio degli Asburgo durante il regno di Maria Teresa e del figlio Giuseppe II. Grazie ad ampi privilegi mercantili e investimenti strategici nella produzione industriale di lana, cotone e seta, ma anche di ottone e tabacco, egli entrò presto nell’orbita della finanza pubblica. I suoi servizi straordinari per la casa asburgica furono riconosciuti con sempre nuovi privilegi, titoli nobiliari e feudi. Negli ultimi anni di vita si fece erigere dall’architetto di corte, Johann Ferdinand Hetzendorf von Hohenberg, una sontuosa residenza in stile neoclassico, l’odierno Palazzo Pallavicini, nella centralissima Josefsplatz. Con i suoi figli Johann e Moritz, iniziò la stupefacente parabola della collezione Fries. Il primogenito Johann acquistò durante il suo Grand Tour tra Firenze, Roma, Napoli e la Sicilia, una grande quantità di vasi, oggetti e sculture antiche, ma anche capolavori moderni come il gruppo di Teseo sul Minotauro di Antonio Canova. Sarà però il fratello Moritz il protagonista assoluto della vita mondana, culturale e artistica della Vienna imperiale intorno al 1800. Socio onorario dell’Accademia di Belle Arti e mecenate di grandi artisti contemporanei – tra cui Heinrich Friedrich Füger e Josepf Abel – era anche un appassionato sostenitore di Joseph Haydn e Ludwig van Beethoven. Particolarmente importante era la sua collezione di stampe e disegni di maestri antichi e moderni, oggi in parte custoditi all’Albertina di Vienna. I fasti della casa Fries erano noti in tutta Europa, ma la trascuratezza negli affari, le drammatiche conseguenze delle guerre napoleoniche e del riordinamento geopolitico dell’intero continente, li misero presto a rischio. Come una cometa, le leggendarie fortune del conte Fries cominciarono a disfarsi sino al fallimento della banca e alla rapidissima dispersione delle collezioni.

Everhard Jabach: un cosmopolita alla corte di Luigi XIV

Rampollo di una famiglia di mercanti e banchieri, Everhard Jabach nacque nella casa paterna a Colonia già circondato da capolavori come il cosiddetto Altare Jabach di Albrecht Dürer. All’età di soli diciotto anni, prese in mano gli affari di famiglia. Il primo viaggio lo portò nelle Fiandre e a Londra, dove divenne testimone oculare della straordinaria stagione collezionistica alla corte di Carlo I e si fece ritrarre più volte da Antoon van Dyck. In seguito, Jabach decise di spostarsi a Parigi, dove risiedette poi per tutta la vita e dove, grazie a rapporti privilegiati con i primi ministri Giulio Mazzarino prima e Jean-Baptiste Colbert poi, diventerà un protagonista della Francia di Luigi XIV e della sua espansione coloniale. Nel suo sontuoso palazzo, eretto da Pierre Bullet nel 1659, Jabach raccolse nel corso della vita opere d’arte di altissimo rilievo. Nel 1662 vendette 100 dipinti alla corona francese, provenienti in parte dalle collezioni di Carlo I e comprendenti capolavori assoluti del Rinascimento italiano come la Donna allo specchio di Tiziano. Solo pochi anni dopo, nel 1671, Jabach cedette una seconda collezione sempre a Luigi XIV, comprendente altri 102 dipinti e soprattutto 5542 disegni antichi che non avevano pari in tutta l’Europa. La raccolta annoverava i grandi maestri italiani del Cinquecento e Seicento, ma anche opere chiave di Albrecht Dürer e Hans Holbein il Giovane, di Pietro Paolo Rubens e Antoon van Dyck, di Nicolas Poussin e Charles Le Brun. Tali dipinti e disegni, allora ceduti da Jabach, contribuirono grandemente alla formazione delle collezioni reali francesi e rappresentano ancora oggi importanti nuclei del Musée du Louvre.

Joachim Heinrich Wilhelm Wagener: Un tempio delle arti per la nazione

Il mercante e banchiere berlinese Joachim Heinrich Wilhelm Wagener fu un appassionato sostenitore dell’arte contemporanea, socio onorario dell’Accademia di Belle Arti di Berlino, amico e corrispondente di molti artisti. La sua collezione comprendeva tutte le scuole importanti della Germania, da Berlino e Düsseldorf a Monaco di Baviera, e tutti generi, dalla grande pittura di storia a ritratti, paesaggi, nature morte e scene di genere. Lo sviluppo della collezione è ben documentata attraverso i quattro cataloghi pubblicati tra 1828 e 1861. Molti dei dipinti e degli artisti della raccolta, come le famose opere di Karl Friedrich Schinkel e Caspar David Friedrich, rispecchiavano il fervente spirito di rinascita nazionale del romanticismo tedesco. Nel 1861 Wagener lasciò i suoi tesori al re di Prussia, Guglielmo I, con il vincolo di fondare una galleria nazionale. Il grande tempio delle arti, l’odierna Alte Nationalgalerie, fu commissionata dal futuro imperatore della Germania a Friedrich August Stüler. Inaugurato nel 1876, reca sul frontone l‘iscrizione „DER DEUTSCHEN KUNST MDCCCLXXI“ (Per l’Arte Tedesca 1871), sottolineando il ruolo delle arti come pilastro fondante del nuovo impero germanico proclamato a Versailles nello stesso 1871. In realtà la collezione Wagener includeva anche opere importanti di artisti francesi, belgi e italiani e aveva un taglio più europeo rispetto al progetto finale della galleria nazionale. Accanto a un capolavoro dell‘Ottocento italiano come la Fuga di Bianca Cappello da Venezia di Francesco Hayez, erano presenti molte opere che riflettevano l’italofilia dell’Ottocento tedesco come la Veduta del duomo di Milano di Johann Carl Schultz o il Tasso che incontra Eleonora d’Este di August Ferdinand Hopfgarten.

John Pierpont Morgan: collezionista di collezioni e patriota americano

Proprietario della J.P. Morgan & Co., la prima banca d’investimento in senso moderno, John Pierpont Morgan fu protagonista delle grandi imprese industriali del boom americano tra Ottocento e Novecento, dall’acciaio alle ferrovie, dalle automobili alle telecomunicazioni e, allo stesso tempo, fu anche uno dei collezionisti più agguerriti dell’epoca. Collezionista di collezioni piuttosto che di opere individuali, i suoi tesori spaziavano dall’arte antica, bizantina e medievale a capolavori del Rinascimento e del Barocco fino ad includere qualche opera contemporanea. Raccolte davvero universali, tipologicamente, cronologicamente e geograficamente, che allo stesso tempo presentavano sezioni particolarmente curate e apprezzate dal loro proprietario, come i magnifici disegni antichi acquistati in blocco da Charles Fairfax Murray o la straordinaria collezione di manoscritti illuminati. Per decorare gli ambienti della sua biblioteca newyorkese, eretta sulla Madison Avenue da Charles McKim nello stile del cosiddetto „Rinascimento Americano“, Morgan scelse soprattutto arredi, sculture e dipinti del Rinascimento italiano. Dietro a queste collezioni, in gran parte raccolte in poco più di due decenni, tra il 1890 e la morte nel 1913, vi era un progetto culturale molto ambizioso: offrire alla giovane nazione americana capolavori di tutte le epoche come modelli per educare il popolo e per accrescere le arti e le industrie. Gran parte dei suoi tesori andò ad arricchire, infatti, non solo la Pierpont Morgan Library, ma anche il Wadsworth Atheneum nella sua città natale a Hartford e il Metropolitan Museum of Art, del quale Morgan fu presidente dal 1904 al 1913. John Pierpont Morgan fu anche tra i fondatori dell‘Accademia Americana a Roma e, con lo stesso spirito, acquisì un‘opera altamente simbolica come l‘Allegoria dell’America di Hiram Powers. 

Nathaniel Mayer von Rothschild: un committente e collezionista alla ricerca del Gran Siècle

Nel primo Ottocento iniziò l’espansione strategica dei Rothschild su scala europea. Partendo dalla natia Francoforte quattro figli di Mayer Amschel Rothschild aprirono sedi bancarie a Londra, Parigi, Napoli e Vienna. Grazie alle opportunità straordinarie che si offrivano con le grandi trasformazioni politiche, e in seguito alle ripetute crisi delle finanze pubbliche dopo le guerre napoleoniche e il congresso di Vienna, i Rothschild divennero in breve tempo i maggiori finanziatori del debito pubblico e dell’alta aristocrazia. Tra i committenti, collezionisti e filantropi del ramo viennese, si distingue Nathaniel Mayer von Rothschild per il fastoso palazzo eretto tra il 1871 e il 1879 dall’architetto francese Jean Girette, oltre che per le generosissime donazioni ad opere assistenziali. Grande viaggiatore e appassionato fotografo, Nathaniel era anche un collezionista raffinato, e scelse di far decorare i saloni del suo palazzo in stile Luigi XIV, XV e XVI, un “Gesamtkunstwerk”, un’opera d’arte totale che si distingueva nettamente dallo stile tipico dei grandi palazzi viennesi della Ringstraße. Le sue collezioni includevano capolavori di pittura italiana e olandese, da Francesco Francia a Rembrandt, ma annoveravano soprattutto i grandi maestri del Settecento francese, da Hyacinthe Rigaud, François Boucher, Jean-Honoré Fragonard e Jean-Baptiste Greuze a Jean-Antoine Houdon. Quando, con l’annessione nazista dell’Austria nel 1938, i beni dei Rothschild furono confiscati, anche gli arredi e le collezioni di Nathaniel, allora in possesso del nipote, furono destinati a collezioni pubbliche o dispersi. Nel dopoguerra, e con molte resistenze da parte delle autorità austriache, tali opere furono in gran parte restituite e oggi arricchiscono collezioni pubbliche e private soprattutto negli Stati Uniti. 

Raffaele Mattioli, il banchiere “umanista”

Una vicenda che ha segnato la storia dell’Italia nel Novecento è quella della Banca Commerciale Italiana che, fondata nel 1894 a Milano, assunse rapidamente un ruolo fondamentale nel sistema bancario nazionale e poi in quello internazionale. Alla guida dell’istituzione dal 1933 e per i successivi quarant’anni vi fu la luminosa figura del banchiere “umanista” Raffaele Mattioli, protagonista della rinascita economica e culturale dell’Italia del difficile dopoguerra. Allievo di Attilio Cabiati e Luigi Einaudi, sodale di Benedetto Croce, amico del critico d’arte Roberto Longhi, fin dal 1927 Mattioli aprì la propria casa a giovani artisti, intellettuali e antifascisti nelle celebri “Notti di via Bigli”, favorendo la libera discussione e la ricerca, incoraggiando i loro progetti.
Nel 1933 era entrato nel patrimonio di Comit il Ritratto di Fattori nello studio di Giovanni Boldini, prima importante acquisizione di Mattioli, cui seguì quella di uno dei grandi capolavori del Settecento, la Veduta di Napoli con Largo di Palazzo di Gaspar van Wittel, gelosamente custodito dal banchiere nel proprio studio alla Rappresentanza di Roma. Nel secondo dopoguerra Mattioli si legò a personalità d’eccezione come Renato Guttuso, Giorgio Morandi e Giacomo Manzù, ai quali assegnò varie commissioni. Fu proprio quest’ultimo che eseguirà, quale omaggio all’amico scomparso, l’Angelo della Resurrezione destinato a vegliarne la sepoltura nel cimitero dell’amatissima Abbazia di Chiaravalle.
Dalla pubblicazione dei classici con la casa editrice Riccardo Ricciardi, che aveva rilevato nel 1938 e diretto per tutta la vita, al sostegno alla rigorosa catalogazione del patrimonio artistico dei musei Milano, fino alla promozione di grandi scrittori, come Carlo Emilio Gadda, il contributo principale di Mattioli fu nella consapevolezza che lo studio del passato possa fornire la chiave di lettura del mondo contemporaneo e che la cultura rappresenti uno strumento per la costruzione del futuro.