18. MOSTRA INTERNAZIONALE DI ARCHITETTURA

dal 20 maggio al 26 novembre 2023

THE LABORATORY OF THE FUTURE
di Lesley Lokko
Curatrice della 18. Mostra Internazionale di Architettura

Agents of Change (Agenti di cambiamento)

Che cosa significa essere “un agente di cambiamento”? È questa la domanda che ha accompagnato il periodo di gestazione di The Laboratory of the Future (Il Laboratorio del Futuro) e che ha fatto da contrappunto e da forza vitale alla Mostra, mentre si sviluppava nell’occhio della mente, dove si trova tuttora, in bilico, sul punto di nascere. Negli ultimi nove mesi, in centinaia di conversazioni, messaggi di testo, videochiamate e riunioni, è emersa più volte la domanda se esposizioni di questa portata, sia in termini di emissioni di carbonio sia di costi, possano essere giustificate. A maggio dell’anno scorso (in occasione dell’annuncio del titolo) ho parlato più volte della Mostra come di “una storia”, una narrazione che si evolve nello spazio. Oggi ho una visione diversa. Una mostra di architettura è allo stesso tempo un momento e un processo. Prende in prestito struttura e formato dalle mostre d’arte, ma se ne distingue per aspetti critici che spesso passano inosservati.
Oltre al desiderio di raccontare una storia, anche le questioni legate alla produzione, alle risorse e alla rappresentazione sono centrali nel modo in cui una mostra di architettura viene al mondo, eppure vengono riconosciute e discusse di rado. È stato chiaro fin dal principio che The Laboratory of the Future avrebbe adottato come suo gesto essenziale il concetto di “cambiamento”. Nell’ambito di quelle stesse conversazioni che tentavano di giustificare l’esistenza della Mostra, sono state affrontate riflessioni difficili e spesso emotive sulle risorse, sui diritti e sui rischi. Per la prima volta, i riflettori sono puntati sull’Africa e sulla sua diaspora, su quella cultura fluida e intrecciata di persone di origine africana che oggi abbraccia il mondo. Che cosa vogliamo dire? In che modo ciò che diremo cambierà qualcosa? E, aspetto forse più importante di tutti, quello che diremo noi come influenzerà e coinvolgerà ciò che dicono gli “altri”, rendendo la Mostra non tanto una storia unica, ma un insieme di racconti in grado di riflettere l’affascinante, splendido caleidoscopio di idee, contesti, aspirazioni e significati che ogni voce esprime in risposta ai problemi del proprio tempo?

Spesso si definisce la cultura come il complesso delle storie che raccontiamo a noi stessi, su noi stessi. Sebbene sia vero, ciò che sfugge a questa affermazione è la consapevolezza di chi rappresenti il “noi” in questione. Nell’architettura in particolare, la voce dominante è stata storicamente una voce singolare ed esclusiva, la cui portata e il cui potere hanno ignorato vaste fasce di umanità – dal punto di vista finanziario, creativo e concettuale – come se si ascoltasse e si parlasse in un’unica lingua. La “storia” dell’architettura è quindi incompleta. Non sbagliata, ma incompleta. Ecco perché le mostre sono importanti. Costituiscono un’occasione unica in cui arricchire, cambiare o rinarrare una storia, il cui uditorio e il cui impatto sono percepiti ben oltre le pareti e gli spazi fisici che la contengono. Ciò che diciamo pubblicamente è fondamentale, perché è il terreno su cui si costruisce il cambiamento, sia a piccoli che a grandi passi.

Exhibition Structure (La Struttura della Mostra)

The Laboratory of the Future è una mostra divisa in sei parti. Comprende 89 partecipanti, di cui oltre la metà provenienti dall’Africa o dalla diaspora africana. L’equilibrio di genere è paritario e l’età media dei partecipanti è di 43 anni, mentre scende a 37 nei Progetti Speciali della Curatrice, in cui il più giovane ha 24 anni. Il 46% dei partecipanti considera la formazione come una vera e propria attività professionale e, per la prima volta in assoluto, quasi la metà dei partecipanti proviene da studi a conduzione individuale o composti da un massimo di cinque persone. In tutte le sezioni di The Laboratory of the Future, oltre il 70% delle opere esposte è stato progettato da studi gestiti da un singolo o da un team molto ristretto. Tali statistiche riflettono un cambiamento sismico nella cultura della produzione architettonica in generale e un mutamento ancora maggiore nella partecipazione alle mostre internazionali. L’equilibrio si sposta. Le strutture si sfaldano. Il centro non regge più.

Al cuore di ogni progetto c’è lo strumento principe e decisivo: l’immaginazione. È impossibile costruire un mondo migliore se prima non lo si immagina. The Laboratory of the Future inizia nel Padiglione Centrale ai Giardini, dove sono stati riuniti 16 studi che rappresentano un distillato di force majeure (forza maggiore) della produzione architettonica africana e diasporica. Si sposta poi nel complesso dell’Arsenale, con la sezione Dangerous Liaisons (Relazioni Pericolose) – presente anche a Forte Marghera, a Mestre, con un’installazione di grandi dimensioni di Emmanuel Pratt – affiancata a quella dei Progetti Speciali della Curatrice, che per la prima volta è una categoria vasta quanto le altre. In entrambi gli spazi sono presenti opere di giovani practitioner africani e diasporici, i nostri Guests from the Future (Ospiti dal Futuro), il cui lavoro si confronta direttamente con i due temi della Mostra, la decolonizzazione e la decarbonizzazione, fornendo un’istantanea, uno scorcio delle pratiche e delle modalità future di vedere e stare al mondo. Tutti i partecipanti di questa Biennale Architettura si esprimono dalla posizione estremamente creativa del “sia/che”, propria di chi abita più di un’identità, parla più di una lingua o viene da luoghi a lungo considerati fuori dal centro. Abbiamo espressamente scelto di qualificare i partecipanti come “practitioners” e non come “architetti”, “urbanisti”, “designer”, “architetti del paesaggio”, “ingegneri” o “accademici”, perché riteniamo che le condizioni dense e complesse dell’Africa e di un mondo in rapida ibridazione richiedano una comprensione diversa e più ampia del termine “architetto”.

Practitioners in the Exhibition (I Partecipanti della Mostra)

Al centro della Mostra, nel Padiglione Centrale, si trovano le opere di alcuni tra i più rappresentativi practitioner africani e della diaspora africana attivi oggi. Adjaye Associates, Cave_bureau, MASS Design Group, SOFTLAB@PSU, Kéré Architecture, Ibrahim Mahama, Koffi & Diabaté Architectes, atelier masōmī, Olalekan Jeyifous, Studio Sean Canty, Sumayya Vally e Moad Musbahi, Thandi Loewenson, Theaster Gates Studio, Urban American City (Toni Griffin), Hood Design Studio e Basis rappresentano una panoramica della miriade di ruoli, modelli e campi in cui ciascuno di loro lavora, insegna e fa pratica. Questi partecipanti costituiscono un frammento della esplosiva comunità di practitioner africani e della diaspora africana che sta ridefinendo il termine “pratica” secondo modalità impensabili fino a un decennio fa. 

Per esplorare ulteriormente l’idea di un’espansione della definizione di architettura, nella sezione successiva, Dangerous Liaisons (Relazioni Pericolose), allestita nel complesso dell’Arsenale, i 37 partecipanti scelti lavorano tutti in modo ibrido, valicando confini disciplinari e geografici e sperimentando nuove forme di partnership e collaborazione. Sono presenti singoli practitioner (Gloria Cabral, Liam Young, Suzanne Dhaliwal, Huda Tayob, Killing Architects); studi di architettura di medie dimensioni (MMA Design Studio, Kate Otten Architects) e studi di due o tre persone che combinano in egual misura insegnamento e pratica (Office 24-7 Architecture and Lemon Pebble Architects, Wolff Architects). Non mancano studi più grandi che affrontano il tema della decarbonizzazione in modo innovativo (White Arkitekter, BDR bureau & carton123 architecten, Flores & Prats Architects, and Andrés Jaque / Office for Political Innovation), così come pratiche sperimentali (Gbolade Design Studio, Studio Barnes, Le laboratoire d’Architecture) il cui lavoro cerca di ampliare la nostra comprensione di ciò che significa decolonizzare la conoscenza e la produzione. Sono rappresentati progetti provenienti da tutti i continenti (RMA Architects, Neri&Hu Design and Research Office, ZAO/standardarchitecture, Grandeza Studio, Ursula Biemann, Gloria Cabral, Paulo Tavares, Studio Barnes, orizzontale, SCAPE Landscape Architecture, Studio of Serge Attukwei Clottey, Twenty Nine Studio, Low Design Office, AMAA Collaborative Architecture, DAAR – Alessandro Petti and Sandi Hilal, David Wengrow and Eyal Weizman with Forensic Architecture and Nebelivka project), nonché da discipline diverse, come il cinema, il giornalismo d’inchiesta, il riuso adattivo, la bonifica del territorio e la pratica comunitaria di base.

Per la prima volta alla Biennale Architettura, i Progetti Speciali della Curatrice e i Partecipanti Speciali costituiscono una grande categoria fuori concorso. Sono definiti “speciali” per lo stretto legame con la Curatrice e i suoi assistenti, che collaborano alla produzione di opere in categorie specifiche scelte dalla Curatrice a integrazione della Mostra. Tre di queste categorie, Mnemonica; Cibo, Agricoltura e Cambiamento Climatico; e Geografia e Genere esaminano espressamente il complesso rapporto tra memoria e architettura (Adjaye Associates with Kiran Nadar Museum of Art, Craig McClenaghan Architecture, Looty, and Studio & and Höweler + Yoon); tra cambiamento climatico, pratiche territoriali e produzione alimentare (Margarida Waco, Gloria Pavita, BothAnd Group) e tra genere, architettura e performance (Ines Weizman, J. Yolande Daniels, Gugulethu Sibonelelo Mthembu, Caroline Wanjiku Kihato, Clare Loveday and Mareli Stolp). Una ulteriore  sezione, Guests from the Future (Ospiti dal Futuro), presenta 22 practitioner di colore emergenti il cui lavoro è disseminato nel complesso dell’Arsenale e nel Padiglione Centrale e offre uno sguardo su chi sarà il probabile architetto del futuro e su quali possano essere i suoi interessi, le sue preoccupazioni e le sue ambizioni. Black Females in Architecture, Dele Adeyemo, Cartografia Negra, Ibiye Camp, Courage Dzidula Kpodo with Postbox Ghana, Elementerre with Nzinga Biegueng-Mboup and Chérif Tall, Folasade Okunribido, Lauren-Loïs, Miriam Hillawi Abraham, Arinjoy Sen, Faber Futures, Tanoa Sasraku, Riff Studio, Anusha Alamgir, Guada Labs, Banga Collective, New South, Aziza Chaouni Projects, Blac Spac, MOE+ Art Architecture, Juergen Strohmayer and Glenn DeRoché sono stati selezionati per il loro lavoro innovativo a tutti i livelli e in molteplici contesti, dal “reale” all’immaginario e viceversa. I Progetti Speciali della Curatrice sono sostenuti dalla Ford Foundation e da Bloomberg Philanthropies.

Tre partecipazioni speciali, il regista Amos Gitaï; il primo poeta laureato in architettura Rhael ‘LionHeart’ Cape, Hon FRIBA e il fotografo James Morris, si trovano all’Arsenale in corrispondenza di alcuni passaggi chiave. Qui il lavoro dei partecipanti è sia archivistico sia esperienziale, integrando le Note a Piè di Pagina della Curatrice che percorrono tutta la Mostra e che comprendono brevi testi della curatrice e fotografie di Alice Clancy, assistente della Curatrice, e di Festus Jackson-Davis, membro del team di ricerca e curatore.

Inoltre, per la prima volta in assoluto, la Biennale Architettura includerà il Biennale College Architettura, che si svolgerà dal 25 giugno al 22 luglio 2023. Nel corso di quattro settimane di programma didattico, quindici noti docenti internazionali – Samia Henni, Marina Otero, Nana Biamah-Ofosu, Thireshen Govender, Lorenzo Romito, Jacopo Galli, Philippa Tumumbweinee, Ngillan Gbadebo Faal, Rahesh Ram, Guillermo Fernández-Abascal, Urtzi Grau, Samir Pandya, Alice Clancy, Sarah de Villiers e Manijeh Verghese – lavoreranno con cinquanta tra studenti, laureati, accademici e professionisti emergenti provenienti da tutto il mondo e selezionati attraverso un processo di Open Call. Ángel Borrego Cubero girerà un documentario dedicato all’esperienza formativa, che verrà pubblicato nel mese di ottobre di quest’anno. A luglio si unirà al College un cast internazionale di critici. La Mostra è stata progettata con il supporto degli assistenti della Curatrice: Emmett Scanlon, Laurence Lord, Alice Clancy e Sarah de Villiers, in tandem con Fred Swart, che si è occupato del progetto grafico e della visual identity. 

Carnival

Il programma della Mostra è arricchito dal Carnival, un ciclo di incontri, conferenze, tavole rotonde, film e performance durante i sei mesi di mostra, volti a esplorare i temi della 18. Mostra Internazionale di Architettura che inizierà a maggio 2023 e chiuderà a novembre 2023. Il Carnival è sostenuto da Rolex, Partner esclusivo e Orologio ufficiale della Mostra. Concepito come uno spazio di liberazione ma anche di spettacolo e intrattenimento, Carnival offre un luogo di comunicazione in cui parole, punti di vista, prospettive e opinioni vengono scambiate, ascoltate, analizzate e ricordate. Politici, policymakers, poeti, registi, documentaristi, scrittori, attivisti, organizzatori di comunità e intellettuali pubblici condivideranno il palco con architetti, accademici e studenti. Curare un programma di eventi pubblici è sempre più una forma di pratica dell’architettura che tenta di colmare il divario tra gli architetti e il pubblico.

The Archive of the Future (L’archivio del futuro)

Come Hemingway, che terminava ogni sessione di scrittura con una frase lasciata a metà, The Laboratory of the Future si chiude con una domanda aperta: e poi? The Archive of the Future è una testimonianza visuale dei processi, dei disegni, delle discussioni, delle idee, delle conversazioni, dei temi sviscerati, delle proposte e delle nuove consapevolezze che collettivamente hanno dato vita a questa mostra. The Laboratory of the Future non è un progetto educativo. Non vuole dare indicazioni, né offrire soluzioni, né impartire lezioni. È invece inteso come una sorta di rottura, un agente di cambiamento, nell’ambito del quale lo scambio tra partecipante, esposizione e visitatore non è passivo o predeterminato. È uno scambio reciproco, una forma di confronto glorioso e imprevedibile, da cui ognuno esce trasformato e incoraggiato ad andare avanti verso un nuovo futuro.

Roberto Cicutto
Presidente de La Biennale di Venezia

Quando a dicembre 2021 su mia proposta il Consiglio di Amministrazione della Biennale di Venezia ha approvato la nomina di Lesley Lokko quale curatrice della 18. Mostra Internazionale di Architettura, la principale ragione della scelta stava nel dare la parola a una voce che veniva dall’esterno del mondo nord-occidentale, e soprattutto a una persona che si occupasse di architettura più in sintonia con i tempi e in progressione rispetto all’impostazione data da Hashim Sarkis nella sua 17. Mostra “How will we live together?”.
Sarkis ha messo in campo inedite convivenze fra generi e spazi ricorrendo anche all’immaginazione, mentre Lokko ci riporta sulla terra mettendo a confronto esperienze diverse, che hanno in comune la necessità di trovare soluzioni urgenti.
Soprattutto durante e dopo la crisi pandemica che ha bloccato il mondo per due anni, l’architettura è diventata centrale nel cercare di dare risposte a bisogni molto concreti, rivoluzionando molte visioni consolidate e allargando il suo raggio d’azione a territori non direttamente collegati all’arte del costruire.
In questi mesi di lavoro con Lesley Lokko molte cose sono cambiate e, pur rimanendo valide le ragioni che hanno determinato la sua scelta, la Mostra da lei curata si è arricchita di nuovi significati.
Mi pare che dalle prime reazioni alle sue affermazioni si sia colto quello che si presenta come il punto di forza di questa Biennale: poter ascoltare dall’interno le diverse voci che vengono dall’Africa e dialogano con il resto del mondo, costringendoci ad abbandonare un’immagine di quel continente e dei suoi abitanti che abbiamo perpetuato per secoli, quella di un’Africa vista più come un problema (migranti, povertà, fame, conflitti…) o solo come un paese da aiutare. Questo cambio di prospettiva nell’incontrare un continente che anagraficamente è il più giovane della terra, e oggi diviene per molti paesi un interlocutore alla pari per accordi economici sul piano dell’approvvigionamento energetico o degli investimenti infrastrutturali, porta con sé una grande rivoluzione.
Perché quindi non apprendiamo anche sul piano culturale quello che l’Africa ha da dirci, frutto di esperienze che, come dice Lesley Lokko, hanno anticipato criticità che oggi sono anche del mondo più sviluppato?
Ricordo l’emozione con cui Lesley Lokko ha accolto il giudizio della Giuria Internazionale della Mostra d’Arte curata da Cecilia Alemani, quando sul podio sono saliti artiste e artisti africani o protagonisti della diaspora: “ci siamo seduti di diritto al tavolo principale” ha esclamato. La Mostra di Cecilia aveva infatti sdoganato voci finora meno ascoltate invitandole a partecipare alla sua Biennale. Ora è Lesley a fare gli onori di casa e a invitare il mondo alla sua Biennale Architettura.
Preparare questa Mostra è stato già un laboratorio del futuro.
Peccato che in dirittura d’arrivo ci sia stato un episodio, retaggio forse di una visione non aggiornata delle relazioni anche culturali fra Europa e Africa, con la negazione del visto per l’accesso in Italia a tre giovani collaboratori che hanno prestato fondamentali servizi alla realizzazione di questa Mostra.

Biografia Lesley Lokko

Lesley Lokko (Ghana/Scotland) è architetta, docente di architettura e scrittrice.
Nel 2020 fonda ad Accra, in Ghana, l’African Futures Institute, scuola di specializzazione in architettura, centro di ricerca e piattaforma di eventi pubblici, che tuttora dirige. Nel 2015 aveva fondato la Graduate School of Architecture all’University of Johannesburg.
Ha insegnato nel Regno Unito, negli Stati Uniti, in Europa, in Australia e in Africa (Bartlett School of Architecture; Kingston University e London Metropolitan University a Londra; Iowa State University, University of Illinois a Chicago negli Stati Uniti; University of Johannesburg e University of Cape Town, in Sudafrica; UTS a Sydney, Australia).
Ha ricevuto numerosi premi per il suo contributo all’insegnamento dell’architettura, tra cui si ricordano: RIBA Annie Spink Award for Excellence in Education 2020; AR Ada Louise Huxtable Prize for Contributions to Architecture 2021.
Nel 2019 è stata nominata Preside della Bernard and Anne Spitzer School of Architecture di New York, da cui si è dimessa nel 2020 per dedicarsi all’African Futures Institute nel suo paese, il Ghana.
Il suo lavoro trentennale nel campo dell’architettura e della letteratura si focalizza sulla relazione tra ‘razza’, cultura e spazio.
Nel 2004 pubblica il suo primo romanzo, Sundowners (Orion) (traduz. italiano Il mondo ai miei piedi, Mondadori 2004), cui seguono altri 11 titoli. Il suo ultimo romanzo, The Lonely Hour, uscirà nel 2024 con Pan Macmillan editore.
Ha fondato e dirige FOLIO: Journal of Contemporary African Architecture.
È autrice di White Papers, Black Marks: Race, Space and Architecture (Minneapolis, University of Minnesota Press, 2000).
Ha un PhD in Architecture alla University of London e un BSc (Arch) and MArch alla Bartlett School of Architecture, UCL (University College London).
È attualmente membro fondatore del Council on Urban Initiatives, insieme a LSE Cities, UN Habitat e UCL Institut for Innovation and Public Purpose. È Guest Editor della serie UCL Press e Visiting Professor alla Bartlett School of Architecture, UCL; Visiting Professor alla University College di Dublino. Nel 2022 è stata nominata Honorary Fellow della Royal Incorporation of Architects in Scozia (RIAS).
È stata membro della Giuria Internazionale della 17. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia.

Leone d’Oro alla carriera Biennale Architettura 2023
Demas Nwo

È stato attribuito a Demas Nwoko, artista, designer e architetto nigeriano, il Leone d’Oro alla carriera della 18. Mostra Internazionale Architettura della Biennale di Venezia dal titolo The Laboratory of the Future.
La decisione è stata approvata dal Cda della Biennale presieduto da Roberto Cicutto, su proposta della Curatrice della 18. Mostra Lesley Lokko.

Le motivazioni della Curatrice Lesley Lokko

Uno dei temi centrali della 18. Mostra Internazionale di Architettura è un approccio all’architettura come campo di attività espanso, che comprende sia il mondo materiale che quello immateriale; uno spazio in cui le idee sono importanti quanto i manufatti, in particolare al servizio di ciò che deve ancora venire. Tuttavia, con tutta la sua enfasi sul futuro, sembra del tutto appropriato che il Leone d’Oro alla carriera venga assegnato a chi ha al suo attivo una produzione di opere materiali che coprono gli ultimi settanta anni, ma la cui eredità immateriale – approccio, idee, etica – è ancora in via di valutazione, comprensione, celebrazione.

Baba (titolo onorifico nigeriano) Demas Nwoko è tutto in una sola volta: architetto,  scultore, designer, scrittore, scenografo, critico e storico. Quando viene interpellato, si riferisce a se stesso come a un “artista-designer”, il che dice molto sia della natura poliglotta dei suoi talenti e delle sue opere, sia dell’interpretazione piuttosto ristretta della parola “architetto” che ha probabilmente tenuto il suo nome fuori dagli annali.

Figlio di un tradizionale Obi (sovrano), è nato nel 1935 a Idumuje-Ugboko, nel sud della Nigeria. Le sue prime incursioni nella pittura, nel disegno e nell’intaglio presso la scuola secondaria di Benin City lo hanno spinto poi a studiare architettura al Nigerian College of Arts, Science and Technology di Zaria. La scoperta che il corso si concentrava più sulle capacità di disegno tecnico che sulla immaginazione creativa, gli ha fatto cambiare rotta per applicarsi allo studio delle belle arti. È stato uno dei membri fondatori della Zaria Art Society – con Yusuf Grillo, Bruce Onobrakpeya, Uche Okeke e Simon Okeke, gruppo noto anche come “Zaria Rebels” – interessati a una miscela di modernità ed estetica africana come linguaggio autentico che rifletteva il crescente spirito di indipendenza politica negli anni Quaranta e Cinquanta.

Questo profondo desiderio di fondere e sintetizzare piuttosto che di spazzare via, ha caratterizzato il lavoro di Nwoko per oltre cinquant’anni. È stato uno dei primi creativi nigeriani dello spazio e della forma a criticare la dipendenza della Nigeria dall’Occidente per i materiali e i beni importati, oltre che per le idee, ed è sempre rimasto impegnato nell’utilizzo delle risorse locali.

Sebbene siano relativamente pochi, gli edifici di Nwoko in Nigeria svolgono due ruoli fondamentali. Sono i precursori delle forme di espressione sostenibili, attente alle risorse e culturalmente autentiche, che stanno attraversando il continente africano – e il mondo – e puntano verso il futuro, un risultato non da poco per chi è ancora in gran parte sconosciuto, anche a casa. 

Nel 1977, a proposito del primo lavoro commissionato a Nwoko per la costruzione del complesso per l’Istituto Domenicano di Ibadan, il critico di architettura Noel Moffett scriveva: “Qui, sotto un sole tropicale, architettura e scultura si combinano in un modo che forse solo Gaudí, tra gli architetti, è stato in grado di fare in modo convincente”.

È per me motivo di enorme orgoglio e piacere assegnare il Leone d’Oro alla carriera a Baba Demas Nwoko, architetto del XX e XXI secolo, e incoraggiare tutti i visitatori della 18. Mostra Internazionale di Architettura a visitare la piccola ma preziosa e articolata esposizione del suo lavoro allestita nel Padiglione Stirling ai Giardini, accanto al Progetto Padiglione del Libro di The Laboratory of the Future.

Biografia Demas Nwoko

Demas Nwoko è un artista, designer poliedrico e architetto nigeriano, tra i più affermati esponenti del movimento di arte moderna del suo paese. Come artista, introduce tecniche innovative nell’architettura e negli allestimenti scenici, valorizzando i temi africani nella maggior parte dei suoi lavori. Negli anni ’60 è stato membro del Mbari Club di Ibadan, circolo di artisti emergenti nigeriani e di altri paesi.
Il principe Demas Nwoko nasce nel 1935 a Idumuje Ugboko, Nigeria, nell’area a governo locale di Aniocha North, Delta State. È figlio dell’Obi (il Re) Nwoko Secondo. Cresciuto a Idumuje Ugboko, si è lasciato ispirare dai complessi architettonici più moderni della sua città e dal Palazzo dell’Obi, disegnato dal nonno. Ulteriori ampliamenti del palazzo furono commissionati dal padre di Nwoko.
Ha studiato al Nigerian College of Arts, Science and Technology di Zaria (1957-1961), città dove è diventato tra i più importanti membri fondatori della Zaria Art Society. Questo influente gruppo di artisti, noto come ‘Zaria Rebels’, sosteneva il concetto di ‘sintesi naturale’, coniatodall’artista Uche Okeke per colmare, con temi e narrazioni africane, quella formazione occidentale ricevuta da educatori coloniali. Negli anni ’60 gli Zaria Rebels hanno contribuito, insieme ad altri esponenti della letteratura, del teatro e della musica, all’avanguardia modernista postcoloniale in Nigeria.
Nel 1961 Nwoko ha ottenuto una borsa di studio per il Centre Français du Théâtre di Parigi, dove ha studiato architettura teatrale e scenografia. Dopo l’università è tornato in Nigeria per insegnare presso la neonata Scuola di Recitazione dell’Università di Ibadan. Riunitosi ai colleghi della Zaria Art Society, Nwoko ha successivamente fondato spazi come il Mbari Writers and Artists Club, sviluppando una nuova arte che fonde estetica, forme e processi modernisti africani e occidentali volta a riflettere sullo spirito di indipendenza politica. Nel 1970 ha ricevuto come primo incarico la costruzione dell’Istituto Domenicano di Ibadan, dopo i primi passi mossi nello studio dell’architettura al New Culture Studios di Ibadan alla fine degli anni ’60.
Sempre a Ibadan ha fondato il New Culture Studios, centro di formazione per le arti dello spettacolo e del design. Negli anni ’70 ha fondato il New Culture Magazine (non più in produzione)che documentava l’arte e la cultura contemporanea.

Info Pubblico

Orario estivo: 11.00 – 19.00 (ultimo ingresso: 18.45)
Fino al 30 settembre, solo sede Arsenale: venerdì e sabato apertura prolungata fino alle ore 20 (ultimo ingresso: 19.45)
Orario autunnale: 10.00 – 18.00 (ultimo ingresso: 17.45)

Chiuso il lunedì (tranne i lunedì 22/05, 14/08, 4/09, 16/10, 30/10, 20/11)

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