385 Views |  Like

La modernità altrove

Guido Vitali e Pier Matteo Carnaroli

I Quaranta per Giorgio De Chirico sono gli anni della guerra vissuta a Firenze dove è ospitato dall’antiquario Luigi Bellini, insieme alla moglie Isabella ebrea russa nata a Varsavia. Scrive opere letterarie come Il “Signor Dudron” apparso su “Prospettive”, e articoli teorici su vari periodici, ma soprattutto nel 1945 i testi autobiografici “Memorie della mia vita” e “1918 – 1925 – Ricordi di Roma”.
Più assidua diventa la sua ricerca sui maestri dell’arte antica che lo porta ad eseguire d’apres da Tiziano, Rubens, Delacroix, Watteau, Fragonard e Courbet.
Nel 1947 si trasferisce a Roma nella casa dove risiederà per tutta la vita in Piazza di Spagna 31. Nell’ultima fase della sua vita combatte contro il suo mito, e il confine sottile tra vero e falso che aveva lui stesso alimentato con la creazione del Metafisica che “vuol dire al di là della fisica, al di fuori cioè del nostro campo visivo abituale e della nostra generale conoscenza”.
Egli è libero di percorrere le infinite strade della fantasia, come nella Battaglia del 1949, dove guerrieri e i cavalli sono protagonisti di una storia d’avventura che appare sospesa tra sogno e veglia, tra realtà e teatro.
Assai vicino al mondo poetico Pictor Optimus Mario Tozzi, artista con il quale nel 1926 fonda a Parigi il “Group des Sept” (conosciuti come “Les Italiens de Paris”), insieme a Campigli, De Pisis, Paresce, Severini e al fratello Savinio. Nella Le porte-diner en étain del 1926, come in De Chirico, la scena è cristallizzata in un’istante che diviene epifania di un ricordo perduto.