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Il Pensiero e l’azione

FONDAZIONE GIORGIO CINI VENEZIA
Intervista a Pasquale Gagliardi, Segretario Generale
di Luca Violo

Come si può tratteggiare la figura di Vittorio Cini come uomo, mecenate e collezionista?

L’aspetto preminente di Vittorio Cini collezionista è l’ampiezza dei suoi interessi intellettuali e collezionistici. Molte delle opere più preziose che la Fondazione custodisce sono gli archivi straordinari acquisiti da Cini, come il sostegno dato all’emozionante ricerca sui linguaggi del mare di Gianfranco Folena: 180 punti del Mediterraneo con altrettanti linguisti che hanno analizzato gli idiomi del mare: nomi di pesci, di barche, del tempo atmosferico, del mare, ma anche il rapporto tra la partenza, il ritorno e la nostalgia. La Fondazione conserva un importante archivio sonoro e musicale di tutto il ‘900 fino alla contemporaneità – da Ottorino Respighi a Gian Francesco Malipiero, da Alfredo Casella, Nino Rota a Giacomo Manzoni – oltre alla più grande collezione di libretti d’opera (35.000) (pare ce ne sia una più grande al Metropolitan) e raccogliere diversi oggetti d’arte, ma è stato anche un mecenate e persona generosa, con una vita privata singolare tra verità e immaginazione. Proprio attraverso gli ottimi rapporti di Cini con critici e storici dell’arte, e coi direttori che si sono succeduti a capo del nostro prestigioso Istituto di Storia dell’Arte, come Giuseppe Fiocco (1955-1972) e Roberto Pallucchini (1972-1989), la biblioteca della Fondazione si è arricchita per lascito dei loro archivi personali e delle loro fototeche, rendendo questo spazio uno dei più importanti al mondo: conserviamo ben 1.400.000 schede che documentano l’intera storia dell’arte veneta, comprese le opere disperse e perdute che rappresentano il 35% del fondo archivistico. Un preziosissimo patrimonio che custodisce 14 secoli di questa civiltà. Oggi la Fondazione possiede un fondo di libri antichi di valore assoluto, con un potenziale incredibile per i nostri ricercatori.
Con quali finalità nasce la Fondazione?

La Fondazione Cini nasce nel 1951, in memoria di Giorgio Cini, figlio di Vittorio, sulle macerie dell’ex monastero benedettino di San Giorgio, allo scopo di restaurare il complesso architettonico deturpato da 150 anni di occupazione militare, e farne un centro internazionale di attività culturali. L’intuizione più grande di Vittorio Cini fu proprio questa, ossia di attribuire alla Fondazione gli stessi compiti che erano stati assegnati dai monaci all’abbazia: questi avevano fatto del monastero un importantissimo istituto di studi umanistici che attirava i maggiori intellettuali dell’epoca.

Perché Vittorio Cini ha scelto l’Isola di San Giorgio come sede della sua Fondazione?
Sentimentalmente perché il nome dell’Isola gli ricordava il figlio Giorgio, ma anche perché lo stato architettonico dell’ex monastero era così degradato da rappresentare uno scandalo incredibile per Venezia e per lo Stato. Cini ottenne dal Demanio la licenza a istituire sull’Isola di San Giorgio Maggiore la sua Fondazione impegnandosi a restaurare l’intero complesso benedettino e farne un centro culturale, sociale ed educativo. Si pensi che per 150 anni questo luogo fu svilito e depredato delle sue ricchezze, passando da un’amministrazione all’altra: quella francese, austriaca, infine italiana. La Biblioteca di Baldassarre Longhena divenne un deposito di baionette; il Cenacolo Palladiano una segheria, e il bellissimo dipinto delle Nozze di Cana di Paolo Veronese, oggi conservato al Musée du Louvre di Parigi, fu bottino di Napoleone. Dal 2010 un ‘secondo originale’, ossia un fac-simile in scala 1:1 ottenuto grazie alle più sofisticate tecniche di riproduzione sviluppate dall’artista britannico Adam Lowe fondatore dell’atelier Factum Arte, è ‘tornato’ nel suo contesto originale dopo 210 anni.

Come si articola il fundraising che sostiene la Fondazione Cini?
Fino alla sua morte avvenuta nel 1977 è stato lo stesso Cini a sostenere le spese della Fondazione. In quegli anni è stato importante l’apporto di Vittore Branca, già direttore generale della cultura per l’Unesco, e di Bruno Visentini, già ministro dell’economia e presidente di Olivetti, che ha costituito uno zoccolo patrimoniale importante, più i proventi derivati dai diritti d’autore di Ottorino Respighi – nel 2002 quando sono arrivato in Fondazione i diritti per le esecuzioni delle opere ammontavano a 400 mila euro l’anno. Con Giovanni Bazoli, presidente della Fondazione dal 2001, abbiamo iniziato un’azione di fundraising creando una nuova figura, quella del sostenitore istituzionale, che s’impegna a versare almeno 500 mila euro e acquisisce il diritto ad avere un proprio rappresentante nel Consiglio Generale della Fondazione. L’insieme delle quote versate dai sostenitori copre tre dei quattro milioni di euro che corrispondono al costo annuo della conservazione, del restauro e del mantenimento complessivo dell’isola e dei suoi monumenti. Il resto è fatto dall’utilizzo intelligente degli spazi attraverso una logica mirata di coproduzioni e mostre che da sempre sono il fiore all’occhiello della Fondazione Cini. In prospettiva abbiamo molti progetti che possono realizzarsi solo con una più ampia e coordinata stabilità economica di sostegno.

L’Istituto di Storia dell’Arte da sempre è un’eccellenza della Fondazione Cini. Quali sono le sue finalità?
L’Istituto di Storia dell’Arte, di cui è direttore Luca Massimo Barbero dal 2013, nasce nel 1954 a seguito di una collaborazione tra la Fondazione e l’Università di Padova. La sua biblioteca conta 150.000 volumi e circa 800 testate. L’Istituto promuove l’arte, in particolare quella veneta, organizza convegni ed eventi espositivi che spesso si caratterizzano per una contaminazione interdisciplinare, oltre alla pubblicazione di prestigiose riviste a livello internazionale, come Arte Veneta (dal 1947) e Saggi e Memorie di Storia dell’Arte (dal 1957). Fin dal primo direttore dell’Istituto Rodolfo Pallucchini, allo stesso tempo commissario della Biennale di Arti Visive di Venezia, la Fondazione Cini è sempre stata interessata a diffondere la conoscenza dell’arte contemporanea. Non si può comprendere l’antico senza avere occhi sul contemporaneo e viceversa.

Come ha plasmato la Fondazione dall’inizio del suo incarico?
Dal 2002 al 2014 la mia missione, oltre quella di risanamento del budget, è stata di rendere fruibile e accessibile ai ricercatori e al pubblico il cinquecentesco paesaggio architettonico della Fondazione, riqualificando gli spazi già esistenti e creandone di nuovi per farne un luogo aperto alla cultura multidisciplinare. In questo senso il Labirinto Borges inaugurato nel 2011 e progettato da Randoll Coate in onore del poeta argentino, rappresenta la mia idea di connessione tra luogo della ricerca e luogo della performance. È l’immagine metaforica adatta a esprimere questo rapporto: ora et labora, gli orti e lo studio, la conoscenza pura e applicata, il pensiero e l’azione.