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Il fascino aristocratico del farsi portare

Le portantine altro non erano che sedie destinate al trasporto di persone che venivano inserite in una cassa volta a proteggere chi sedeva all’interno, da sguardi indiscreti ed agenti atmosferici, giacchè all’epoca di questi straordinari ‘mobili in movimento’, il pettegolezzo era un’arte di alta diplomazia e il silenzio e la discrezione merce rara da tutelare ad ogni costo. Sempre ad un posto – con rare eccezioni come quella di Leopoldo II, conservata a Palazzo Pitti a Firenze, che ne ha due affiancati – avevano una struttura a tre o cinque luci, una anteriore e una o due su ciascun fianco, che erano, nei modelli più raffinati, amovibili o abbassabili.

Per la loro realizzazione veniva coinvolta una moltitudine di maestranze coordinate, per quanto riguarda il contesto napoletano del Settecento a cui la portantina Pucci di Benisichi si richiama, dalla figura del guarnamentaro: «una sorta di falegname-tappezziere altamente specializzato che si occupa di realizzare (…) l’abitacolo ligneo (…) per poi rivestirlo all’interno con stoffe pregiate e corredarlo di tutti i finimenti necessari. A seconda delle esigenze, interviene quindi l’intagliatore, lo scultore, il pittore di ornamenti, paesi e figure, l’argentiere, l’ottonaro, il frangiaro, il coiaro, ecc.» (E. Catello, La Carrozza Napoletana del XVIII secolo, in “Studi in onore di Raffaello Causa”, Napoli 1988, p. 351).

Dallo sfarzo barocco di Gian Lorenzo Bernini e Ciro Ferri al “ruderismo” illuminista e preromantico di Giovanni Battista Piranesi (fig. 1), molteplici furono i grandi artisti che si cimentarono nella progettazione di questi straordinari mezzi di trasporto, veri e propri status symbol per chi li possedeva e con essi mostrava per le vie cittadine il proprio potere economico e di censo.