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GIACOMO DEL PÒ
(Roma, 1654 - Napoli, 1726)
Maddalena
Olio su tela, cm 105X78
Maddalena
Olio su tela, cm 105X78
ESTIMATE € 4,000 - 7,000
Provenienza:
New York, collezione Paul Ganz
Italia, collezione privata
Bibliografia:
N. Spinosa, Pittura napoletana del Settecento dal Barocco al Rococò, Napoli 1986, I, p. 139, n. 160, p. 280, fig. 186
La fortuna critica del barocco italiano si deve in gran parte a un gruppo di ispirati collezionisti americani, Walter Chrysler Jr., Luis Ferré, Robert e Bertina Suida Manning, il Dr. Bob Jones Jr e per l'appunto Paul Ganz, che all'inizio degli anni Cinquanta iniziarono a formare le loro importanti raccolte. Tra questi, Ganz (1910-1986) si può certamente considerare il più eccentrico, quello ricordato con affetto per l'entusiasmo nei confronti della pittura italiana seicentesca e ancor più, per le serate che organizzava nel suo appartamento al 1185 di Park Avenue, sulle cui pareti spiccavano le tele di Scarsellino, Giovanni Baglione, Cerano, Morazzone, Ludovico Cigoli, Carlo Francesco Nuvolone, Francesco Fracanzano, Pietro Testa, Mattia Preti, Giovanni Battista Gaulli, Pietro Bianchi, Giuseppe Chiari e Giacomo del Po'. Collezionista insaziabile, industriale, ma altresì allievo di Rudolf Wittkower, Ganz acquistava, vendeva e scambiava continuamente le proprie opere. I suoi quadri, infatti, sono ora presenti nei principali musei statunitensi e dopo la dispersione della sua immensa raccolta che contava più di mille dipinti, non pochi sono quelli che si rintracciano in Europa. Tornando alla tela in esame, fu pubblicata nel 1986 da Nicola Spinosa, che poté ancora vederla nella sua collocazione newyorkese durante la trasferta a Detroit e Chicago della celebre mostra Civiltà del '700 a Napoli, giudicandola tra le migliori dell'artista e databile intorno al 1705 (Cfr. Spinosa 1986). Come sappiamo, Giacomo del Po' fu da subito celebrato dagli estimatori d'arte e già il De Dominici (40, p. 280) lo designa un pittore e disegnatore eccellente, discepolo del gran Domenichino, mentre Luigi Lanzi, nella sua Storia pittorica, (1845, 20, p. 284), più che del Domenichino, lo considera discepolo del Lanfranco, 'che più piacque ai due Pò che da lui specialmente attinsero il colorito'. Quello che è certo, è la naturale propensione rocaille dell'artista, abile interprete della decorazione illusionistica, ma altrettanto efficace in virtù della sua arte, a raffigurare singole figure con una sensibilità classicista di matrice romana, da lui acquisita durante il soggiorno nella Città Eterna tra il 1652 e la fine dell'ottavo decennio. La tela in esame, per colorito e impostazione si colloca, come detto, alla maturità e l'immagine si contraddistingue da una non comune monumentalità elegantemente attenuata dalle stesure e da una delicata scelta cromatica. Queste caratteristiche consentono al Pò di realizzare anche sorprendenti imprese decorative nei più importanti palazzi napoletani ed eccellenti quadri da stanza, tanto da poter essere considerato l'interprete più originale della pittura napoletana d'inizio Settecento, quando la scena artistica era in gran parte occupata dall'egemonia accademizzante di Francesco Solimena. Egemonia a cui l'autore replica con la sua 'maniera pittoresca e bizzarra' (De Dominici), intrisa di ricordi giordaneschi, echi del barocco genovese e un ricercato linguaggio rococò.
Ringraziamo Nicola Spinosa per aver confermato l'attribuzione dopo aver analizzato il dipinto dal vero.
Bibliografia di riferimento: B. De Dominici, Vita de' pittori scultori ed architetti napoletani, III, Napoli 1743, (Ristampa anastatica ed. Forni - 1979) pp. 496-517
M. Picone, per la conoscenza del pittore Giacomo Del po’, in Bollettino d’Arte, 1957, XLII, pp. 163 - 172, n. 2-3-4; L. Lanzi, storia pittorica della Italia [1808], a cura di M. Capucci, Firenze 1968, I, p. 469; N. Spinosa, Civiltà del Settecento a Napoli, Napoli 1979, I, pp. 177-295; Pittura sacra a Napoli nel ‘700, catalogo della mostra a cura di N. Spinosa, napoli 1981, pp. 40-49, figg. 10-15; Settecento napoletano. Sulle ali dell’aquila imperiale 1703 – 1734, catalogo della mostra a cura di N. Spinosa e W. Prohaska, Napoli 1994, pp. 77-92, pp. 178- 187
New York, collezione Paul Ganz
Italia, collezione privata
Bibliografia:
N. Spinosa, Pittura napoletana del Settecento dal Barocco al Rococò, Napoli 1986, I, p. 139, n. 160, p. 280, fig. 186
La fortuna critica del barocco italiano si deve in gran parte a un gruppo di ispirati collezionisti americani, Walter Chrysler Jr., Luis Ferré, Robert e Bertina Suida Manning, il Dr. Bob Jones Jr e per l'appunto Paul Ganz, che all'inizio degli anni Cinquanta iniziarono a formare le loro importanti raccolte. Tra questi, Ganz (1910-1986) si può certamente considerare il più eccentrico, quello ricordato con affetto per l'entusiasmo nei confronti della pittura italiana seicentesca e ancor più, per le serate che organizzava nel suo appartamento al 1185 di Park Avenue, sulle cui pareti spiccavano le tele di Scarsellino, Giovanni Baglione, Cerano, Morazzone, Ludovico Cigoli, Carlo Francesco Nuvolone, Francesco Fracanzano, Pietro Testa, Mattia Preti, Giovanni Battista Gaulli, Pietro Bianchi, Giuseppe Chiari e Giacomo del Po'. Collezionista insaziabile, industriale, ma altresì allievo di Rudolf Wittkower, Ganz acquistava, vendeva e scambiava continuamente le proprie opere. I suoi quadri, infatti, sono ora presenti nei principali musei statunitensi e dopo la dispersione della sua immensa raccolta che contava più di mille dipinti, non pochi sono quelli che si rintracciano in Europa. Tornando alla tela in esame, fu pubblicata nel 1986 da Nicola Spinosa, che poté ancora vederla nella sua collocazione newyorkese durante la trasferta a Detroit e Chicago della celebre mostra Civiltà del '700 a Napoli, giudicandola tra le migliori dell'artista e databile intorno al 1705 (Cfr. Spinosa 1986). Come sappiamo, Giacomo del Po' fu da subito celebrato dagli estimatori d'arte e già il De Dominici (40, p. 280) lo designa un pittore e disegnatore eccellente, discepolo del gran Domenichino, mentre Luigi Lanzi, nella sua Storia pittorica, (1845, 20, p. 284), più che del Domenichino, lo considera discepolo del Lanfranco, 'che più piacque ai due Pò che da lui specialmente attinsero il colorito'. Quello che è certo, è la naturale propensione rocaille dell'artista, abile interprete della decorazione illusionistica, ma altrettanto efficace in virtù della sua arte, a raffigurare singole figure con una sensibilità classicista di matrice romana, da lui acquisita durante il soggiorno nella Città Eterna tra il 1652 e la fine dell'ottavo decennio. La tela in esame, per colorito e impostazione si colloca, come detto, alla maturità e l'immagine si contraddistingue da una non comune monumentalità elegantemente attenuata dalle stesure e da una delicata scelta cromatica. Queste caratteristiche consentono al Pò di realizzare anche sorprendenti imprese decorative nei più importanti palazzi napoletani ed eccellenti quadri da stanza, tanto da poter essere considerato l'interprete più originale della pittura napoletana d'inizio Settecento, quando la scena artistica era in gran parte occupata dall'egemonia accademizzante di Francesco Solimena. Egemonia a cui l'autore replica con la sua 'maniera pittoresca e bizzarra' (De Dominici), intrisa di ricordi giordaneschi, echi del barocco genovese e un ricercato linguaggio rococò.
Ringraziamo Nicola Spinosa per aver confermato l'attribuzione dopo aver analizzato il dipinto dal vero.
Bibliografia di riferimento: B. De Dominici, Vita de' pittori scultori ed architetti napoletani, III, Napoli 1743, (Ristampa anastatica ed. Forni - 1979) pp. 496-517
M. Picone, per la conoscenza del pittore Giacomo Del po’, in Bollettino d’Arte, 1957, XLII, pp. 163 - 172, n. 2-3-4; L. Lanzi, storia pittorica della Italia [1808], a cura di M. Capucci, Firenze 1968, I, p. 469; N. Spinosa, Civiltà del Settecento a Napoli, Napoli 1979, I, pp. 177-295; Pittura sacra a Napoli nel ‘700, catalogo della mostra a cura di N. Spinosa, napoli 1981, pp. 40-49, figg. 10-15; Settecento napoletano. Sulle ali dell’aquila imperiale 1703 – 1734, catalogo della mostra a cura di N. Spinosa e W. Prohaska, Napoli 1994, pp. 77-92, pp. 178- 187
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