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MICHELE ROCCA
(Parma, 1671 - Venezia, 1751)
Venere e Adone
Olio su tela, cm 36,5X28
Venere e Adone
Olio su tela, cm 36,5X28
ESTIMATE € 2,000 - 3,000
Provenienza:
Collezione privata
Il dipinto rappresenta la favola mitologica di Venere e Adone raccontata nel X libro delle Metamorfosi di Ovidio. Il pittore descrive il momento in cui la dea tenta di trattenere l'amato presagendone la tragica fine ed è proprio il volto femminile a ricondurre l'attribuzione all'artista di origini parmensi, il cui variegato profilo stilistico ha sovente indotto a comprensibili confusioni attributive. Fu lo stesso Giancarlo Sestieri a evidenziare che Rocca fu attento a reinterpretare gli esempi di molteplici artefici e se immediati sono i confronti con i colleghi romani come Filippo Lauri, Carlo Maratti, Francesco Trevisani e Benedetto Luti, il pittore fu anche sedotto dalle eleganze rocaille di Francesco Solimena, Sebastiano Ricci e Giovanni Antonio Pellegrini, spiegandoci in questo caso, l'evidente adiacenza con l'arte veneta e di Jacopo Amigoni, che allievo dell'abate Ciccio a Napoli si trasferì a Venezia nel 1711 (Sestieri, 1973, pp. 84-92). Altrettanto tipica dell'autore è la tipologia dell'opera, che per le contenute dimensioni e il soggetto si rivela perfetta per il collezionismo privato a cui l'autore deve la sua straordinaria notorietà. Tornando al carattere veneto dell'ambientazione invece, la tela qui presentata potrebbe confermare la testimonianza fornitaci da Matthias Oesterreich che asserisce di aver incontrato Michele Rocca a Venezia nel 1751 (Oesterreich, 1770, 1771, p. 164). Detto ciò, è alquanto difficile poter delineare una sequenza cronologia della produzione, fermo restando che la delicata ambientazione arcadica, contrassegnata dalla levità delle cromie, suggerisce una data d'esecuzione matura, pienamente settecentesca e distante dalla temperie barocca del cortonismo.
Si ringrazia Camillo Manzitti per l'attribuzione.
Bibliografia di riferimento:
M. Oesterreich, Beschreibung der Königlichen Bildergalerie und des Kabinets im Sans-Souci (1770), ed. cons. Description des tableaux de la galerie royale et du cabinet de Sans-Souci, Potsdam 1771, p. 164
G. Sestieri, M. R., in Quaderni di Emblema 2, Miscellanea, 1973, n. 2, pp. 83-96, figg. 66-82b
E. Debenedetti, C. Pergoli Campanelli, Un punto su Michele Rocca, in Roma il Tempio del vero gusto. La pittura del Settecento romano e la sua diffusione a Venezia e a Napoli, atti del convegno a cura di E. Borsellino e V. Casale, Firenze 2001, pp. 59-66
G. Sestieri, Michele Rocca e la pittura rococò a Roma, Firenze 2004, ad vocem
Collezione privata
Il dipinto rappresenta la favola mitologica di Venere e Adone raccontata nel X libro delle Metamorfosi di Ovidio. Il pittore descrive il momento in cui la dea tenta di trattenere l'amato presagendone la tragica fine ed è proprio il volto femminile a ricondurre l'attribuzione all'artista di origini parmensi, il cui variegato profilo stilistico ha sovente indotto a comprensibili confusioni attributive. Fu lo stesso Giancarlo Sestieri a evidenziare che Rocca fu attento a reinterpretare gli esempi di molteplici artefici e se immediati sono i confronti con i colleghi romani come Filippo Lauri, Carlo Maratti, Francesco Trevisani e Benedetto Luti, il pittore fu anche sedotto dalle eleganze rocaille di Francesco Solimena, Sebastiano Ricci e Giovanni Antonio Pellegrini, spiegandoci in questo caso, l'evidente adiacenza con l'arte veneta e di Jacopo Amigoni, che allievo dell'abate Ciccio a Napoli si trasferì a Venezia nel 1711 (Sestieri, 1973, pp. 84-92). Altrettanto tipica dell'autore è la tipologia dell'opera, che per le contenute dimensioni e il soggetto si rivela perfetta per il collezionismo privato a cui l'autore deve la sua straordinaria notorietà. Tornando al carattere veneto dell'ambientazione invece, la tela qui presentata potrebbe confermare la testimonianza fornitaci da Matthias Oesterreich che asserisce di aver incontrato Michele Rocca a Venezia nel 1751 (Oesterreich, 1770, 1771, p. 164). Detto ciò, è alquanto difficile poter delineare una sequenza cronologia della produzione, fermo restando che la delicata ambientazione arcadica, contrassegnata dalla levità delle cromie, suggerisce una data d'esecuzione matura, pienamente settecentesca e distante dalla temperie barocca del cortonismo.
Si ringrazia Camillo Manzitti per l'attribuzione.
Bibliografia di riferimento:
M. Oesterreich, Beschreibung der Königlichen Bildergalerie und des Kabinets im Sans-Souci (1770), ed. cons. Description des tableaux de la galerie royale et du cabinet de Sans-Souci, Potsdam 1771, p. 164
G. Sestieri, M. R., in Quaderni di Emblema 2, Miscellanea, 1973, n. 2, pp. 83-96, figg. 66-82b
E. Debenedetti, C. Pergoli Campanelli, Un punto su Michele Rocca, in Roma il Tempio del vero gusto. La pittura del Settecento romano e la sua diffusione a Venezia e a Napoli, atti del convegno a cura di E. Borsellino e V. Casale, Firenze 2001, pp. 59-66
G. Sestieri, Michele Rocca e la pittura rococò a Roma, Firenze 2004, ad vocem
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