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Fausto Melotti Antiscultura tra musica e poesia

Il linguaggio creativo di Fausto Melotti, tra i protagonisti della scultura europea già dagli anni Trenta, matura nella Milano tra le due guerre, dove arte astratta e architettura razionalista dialogano in modo serrato attorno alla Galleria del Milione e alla rivista “Quadrante”. Suoi interlocutori di quegli anni cruciali sono architetti come Giuseppe Terragni, Luigi Figini, Gino Pollini, Gio Ponti; artisti come Lucio Fontana, Osvaldo Licini, Atanasio Soldati; e soprattutto il cugino Carlo Belli, teorico e autore nel 1935 del libro KN, considerato “il Vangelo dell’astrattismo italiano”. In questo contesto, l’artista cerca da subito di creare una scultura che sia trascrizione plastica delle strutture musicali: vuole materializzare visivamente degli spazi sonori.
L’attività di Melotti ha un nuovo e decisivo momento di svolta tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta, quando – dopo due decenni dedicati in modo quasi esclusivo all’attività ceramica – egli ritorna a quello che era stato l’obiettivo delle sue prime opere astratte: dare vita a un linguaggio plastico che possa tradurre nella tridimensionalità della scultura le strutture immateriali e la spiritualità evocativa della musica. Melotti abbandona quindi la “modellazione” ceramica per ritrovare la “modulazione” del segno plastico. Se l’opposizione tra i due termini di “modellazione” (riferito alla scultura tradizionale) e “modulazione” (legato all’idea nuova della scultura come musica) compare già nel suo testo di autopresentazione per la prima mostra personale alla Galleria del Milione di Milano del 1935, è tuttavia in particolare dalla fine degli anni Cinquanta che egli inizia a realizzare sculture fatte di sottili barre e lastre di ottone saldate tra loro, talvolta con minimi inserti di ceramica o terracotta, che articolano nello spazio composizioni leggere e rarefatte.
Poesia è opera germinale e cruciale di questa nuova stagione creativa melottiana. Precocemente e ripetutamente pubblicata sulla rivista “Domus” già dal suo primo apparire nel luglio 1962, proprio a corredo di uno scritto dell’artista che per la prima volta sancisce la continuità tra le sue “sculture astratte del ’35 e del ’62”, rappresenta un momento particolarmente significativo della sua ritrovata felicità d’ispirazione. Esposta nella decisiva personale da Toninelli Arte Moderna della primavera del 1967, che segna il ritorno di Melotti all’attività espositiva dopo decenni di assenza dal circuito delle gallerie e segue di poco la sua partecipazione alla Biennale di Venezia dell’estate 1966, Poesia è presente in più occasioni cruciali della storiografia melottiana: come la insuperata monografia di Abraham Marie Hammacher del 1975 e la estesa retrospettiva al Palazzo della Pilotta di Parma nel 1976. È lavoro emblematico della sua scultura aperta, di estrema sintesi e stilizzazione, fatta di metalli duttili, come appunto l’ottone: un’opera che a ragione è stata definita come “antiscultura”, in quanto possibile dematerializzazione della forma plastica, semplicemente racchiusa da un essenziale disegno nello spazio, costituito più da vuoti che da pieni, e definito da linee sospese e sottili. Ondulazioni e spazi declinati secondo leggerezza e ironia, che tradiscono da un lato l’eredità dei Mobile di Alexander Calder, dall’altro quella dell’opera surrealista di Alberto Giacometti, con le sue gabbie sospese come palcoscenici.
Poesia è anche opera che racchiude in sé, in modo unico e raro, uno degli intrecci più fecondi che connotano l’intero percorso melottiano: quello sinestesico tra scultura, musica e, appunto, poesia. La struttura spaziale dell’opera si svolge in senso ascensionale, ritmata dall’elemento ellissoidale, che ricorre variato nelle proprie dimensioni e posizioni. In questo, Poesia con chiarezza anticipa quella che in particolare dalla fine degli anni Sessanta sarà una delle strutture ricorrenti nell’opera melottiana, il “tema e variazioni”. Ispirata all’omonima costruzione musicale, che prende le mosse da un motivo base della composizione, modificato secondo una serie di permutazioni, inversioni, modulazioni consecutive, prevede che i vari elementi dell’opera siano come sequenze in successione di una partitura, ciascuna sviluppata in modo differente dalla precedente: così in Poesia, nella ripetizione variata della medesima cellula formale, l’artista articola lo spazio in un inedito racconto e ritmo visivo.
L’intenzionale apparenza di fragilità e instabilità della struttura, caratteristica di Poesia, è per Melotti una delle modalità attraverso le quali far accedere l’osservatore a una dimensione di sogno e di incertezza, in quel proliferare di una visione fantastica che trova proprio in questo periodo un momento di rinnovato e felice rigoglio inventivo. Non a caso, è proprio Poesia a comparire tra le sculture nello studio dell’artista, in una foto scelta dall’autore per illustrare il proprio cruciale scritto dedicato alla poetica dell’incertezza, pubblicato nel marzo del 1963 su “Domus”: “Ed è così che gli artisti della mia generazione, anche se hanno militato da pionieri in qualcuno dei tanti movimenti (nella scultura astratta credo mio un certo modo strettamente contrappuntistico, che non ho veduto ripetersi e che potrebbe anche oggi indicare una via all’accademia) si sono trovati a partecipare almeno con lo spirito a tanti modi e linguaggi, per cui la mente, piena di fermenti e di tante e così diverse sollecitazioni, doveva trovarsi inconsciamente preda di una ricca e fatale incertezza”.