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Farah Diba e il sogno contemporaneo

“Le opere più importanti di Francis Bacon, Mark Rothko, Jackson Pollock, William De Kooning sono a Teheran, le ha acquistate una collezionista d’eccezione, l’ex imperatrice Farah Diba negli anni ‘70, oggi valgono una fortuna”.

Ad ascoltare le parole di un avvocato quarantenne scappato in Svizzera dall’Iran di Khomeini tre anni dopo la rivoluzione del 1979, è quasi da non credere. Perché, quell’immenso tesoro che custodisce i capolavori dei più importanti artisti internazionali del Novecento, da Picasso, a Monet, Van Gogh, Munch, Mirò, Dalì, Kandinsky, Warhol è rimasto sepolto per quasi quarant’anni, in un archivio nei sotterranei del TMoCA, il museo di arte contemporanea di Teheran.

Si tratta della più importante collezione di arte occidentale in Asia che oggi vale tra i tre e i cinque miliardi di dollari. Quelle centinaia di opere sono un fardello troppo grande da sopportare, dal momento che rappresentano l’ambizione irrefrenabile del ricchissimo Scià di Persia e della sua terza moglie, Farah Diba, la donna di vent’anni più giovane madre dei suoi quattro figli. Dietro quell’opulenza si nasconde infatti la debolezza, neanche troppo inconsapevole, di scimmiottare gli Stati Uniti perfino sul profilo culturale. I detrattori della coppia imperiale non hanno mai risparmiato le critiche per il lusso ostentato anche durante gli incontri con il presidente Kennedy e la moglie Jackie. Meglio mettere tutto sotto chiave, in attesa di tempi migliori e trasformare l’edificio che per le forme rievoca il Guggenheim di New York disegnato Kamran Diba, cugino di Farah Diba, in un memoriale dedicato ai martiri della rivoluzione e della guerra Iran-Irak. Meglio dimenticare gli anni in cui Teheran era una città aperta, dove soggiornavano artisti come Andy Warhol che realizzò il celebre ritratto di Farah Diba, l’unica opera distrutta dai rivoluzionari. La preziosa collezione è stata esposta interamente solo tra il 1977 e il 1979 a Teheran. D’altronde come si potevano lasciare sotto gli occhi del pubblico capolavori così provocatori? Uno su tutti è il trittico di Francis Bacon Two figures lying on a bed with attendants che rappresenta due uomini nudi sul letto. L’opera è stata prestata una sola volta alla Tate Gallery di Londra nel 2003. Il giurista svizzero con i suoi racconti dell’epoca fornisce un altro elemento chiave per capire la storia di questa collezione: “Dopo la rivoluzione il Paese si è svuotato, gli stranieri sono scappati. Gli unici che hanno continuato a lavorare sono stati gli italiani”. Questa dichiarazione è il trait d’union con gli avvenimenti dei giorni nostri.

L’anno scorso infatti, la Fondazione MAXXI di Roma presieduta da Giovanna Melandri ha siglato un protocollo di intesa con il governo iraniano per avere in prestito trenta dei più importanti capolavori della collezione. Si tratta di un evento eccezionale, è la prima volta che un gruppo così corposo di opere viene esposto all’estero. Contestualmente, saranno mostrati anche trenta esemplari della stessa collezione realizzati dai protagonisti dell’arte moderna e contemporanea iraniana. La mostra avrà una prima tappa alla Gemäldegalerie di Berlino (4 dicembre 2016 – 5 marzo 2017) per poi approdare al MAXXI (31 marzo – 27 agosto 2017). Tra le opere da non perdere il No. 2 (Yellow Center) di Mark Rothko del 1954, che fa parte della serie “Color Field Painting”, i dipinti di grandi dimensioni realizzati dal maestro dell’astrattismo americano, e poi Le Peintre et son modèle del 1927 di Pablo Picasso, considerato tra i dipinti più importanti dell’artista spagnolo, e l’esotica Nature Morte à l’estampe japonaise del 1889 di Paul Gauguin. Il prezioso Histoire Naturelle del 1923 di Max Ernst, che riflette le influenze del movimento surrealista sull’artista tedesco, e due lavori di Andy Warhol: Suicide (Purle Jumping Man) del 1965 e American Indian Series del 1976. Tensions Claires di Wassily Kandinsky del 1937, insieme a due opere di Francis Bacon: oltre a Two Figures Lying on a Bed with Attendants, la grande tela Reclining Man with Sculptures. Infine, l’importante Mural on Indian Red Ground di Jackson Pollock. Farah Diba amava anche gli artisti italiani, e insieme a una scultura di Arnaldo Pomodoro aveva in collezione uno dei famosi specchi di Michelangelo Pistoletto, Green Curtain del 1967.