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Ettore Colla. La scultura come recupero della materia

Ettore Colla è stato uno dei grandi protagonisti dell’astrattismo italiano. Nato a Parma nel 1896, inizia a frequentare nel 1913 la locale Accademia di Belle Arti, per poi traferirsi a Parigi nel 1923, dove intrattiene rapporti con Emile-Antonie Bourdelle, Costantini Brancusi, Charles Despiau e Henri Laurens con il quale collabora.

La sua poetica, rientrato definitivamente a Roma nel 1930, è assai vicina a quella del movimento “Novecento” di Margherita Sarfatti, e in particolare al plasticismo arcaico e monumentale di Arturo Martini. Intorno alla metà degli anni ‘50 lo scultore compie un ulteriore cambiamento, che si caratterizza per l’utilizzo di elementi di recupero, prevalentemente in ferro, creando assemblaggi astratti e allusivi.

Questa nuova svolta creativa è stata avvicinata dalla critica di allora a una nuova fase del Dada, che prende avvio con le prime opere realizzate con assemblaggi di object trouvé in autori come Francis Picabia o Marcel Duchamp, ma a torto, perché nella poetica di Ettore Colla, a differenza del nichilismo irriverente dei due grandi artisti dada, è assente la volontà provocatoria tipica del movimento.

Nella sua scultura permane invece la ricerca di forme e rapporti spaziali, tipici dell’esperienza astrattista. Colla non fa tanto riferimento all’astrattismo geometrico, quanto soprattutto all’informale, con i cui protagonisti l’artista intrattenne intensi rapporti. Oltre a ciò si ritrova un’allusione realistica, a cui si può riferire certa scultura del surrealismo. Come afferma Giulio Carlo Argan, “gli oggetti di Colla contengono un racconto ed una morale: sono favole di La Fontaine del nostro tempo, soltanto che le persone non sono allegorizzate in animali sapienti, ma nei frammenti di una grossa macchina rotta. Non si tratta di una facile ‘poetica del rottame’: l’attrazione che il rottame esercita sulla fantasia dell’artista dipende essenzialmente dal fatto che esso conserva, malgrado tutto, una forma”.