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Eterne modernità

Mario Sironi è un gigante dell’arte italiana del XX secolo. Oltre le censure ideologiche che per decenni hanno impedito un esame privo di pregiudizi rispetto alla sua vicenda artistica, che prescindesse dal suo essere protagonista del ventennio mussoliniano, è innegabile come le monumentali scenografie dominate dall’elemento architettonico, le vedute di periferie desolate e desolanti, i lavoratori possenti intenti a forgiare il futuro, ma anche le penitenti, le montagne così come le nature morte, siano un travolgente omaggio alle origini della romana classicità rilette con la sensibilità di artista che ama confrontarsi con la modernità.

Avvicinatosi nel 1913 al Futurismo, grazie anche all’amicizia con Boccioni, Sironi diventerà ben presto il pittore-architetto per il quale, sempre e comunque, «costruire è necessario». Ogni sua opera racconta questo processo, che lo fa aderire al movimento di Marinetti nonostante il suo «fortissimo innamoramento» per il classico, per l’antico. I suoi monumentali lavoratori sono figure massicce e arcaiche, capaci di costruire, a fronte di fatica e asprezza, un’immagine di grande energia.

La monumentalità di Sironi nasce riscoprendo i maestri della tradizione pittorica italiana, quella dei grandi cicli ad affresco, grandi nel senso di formato, delle ampie superfici murali ricoperte e grandi nel senso dell’importanza delle storie e dei concetti narrati. Grandi e monumentali sono anche le figure, una umanità rappresentata nel bene e nel male. Figure in questo senso tragiche, che acquisiscono la monumentalità degli archetipi e che sono insieme idee e reali, come la filosofia che indaga il senso del vivere dell’uomo.

La Composizione murale del 1935-1936 qui illustrata è una struggente tecnica mista (tempera, gesso e inchiostro su carta) di notevoli dimensioni (cm 67 x 118) che presenta le figure umane come drammatici simulacri di verosimiglianza, stagliate plasticamente come totem di un tempo cristallizzato nel mito

Eccoci poi ad Arnaldo Pomodoro, che nel piccolo studio di Rotante con sfera interiore del 1974-1975 (sei esemplari più due prove d’artista in ottone dorato di dodici centimetri di diametro), indaga sul continuo contrasto tra perfezione e imperfezione il cui risultato finale è dato da una sintesi degli opposti: il perfetto equilibrio delle geometrie esterne e le complessità nascoste dei cosiddetti “paesaggi interni”, il traslucido e l’opaco, i vuoti e i pieni ed infine la levigatezza e l’erosione delle superfici.

Nella tela Les oh! Et les Bah! del 1964 (cm 55,3 x 46), invece, il belga Pierre Alechinsky intenso protagonista del gruppo CoBrA  fondato nel 1948 (che prende il nome dalle città di origine di Asger Jorn, sua e di Karel Appel, ovvero Copenaghen, Bruxelles e Amsterdam), sperimenta attraverso la forza del segno e del colore, un possibile dialogo tra la cultura occidentale e orientale, che è possibile attraverso l’intima musicalità di una cifra che diviene espressione assoluta.