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Maggiolini Sublimi intarsi

di Giuseppe Beretti

Il 2014 è trascorso senza che a Milano il bicentenario della morte di Giuseppe Maggiolini sia stato ricordato. Del resto la città è in ben altre faccende affaccendata per ricordare un artista del legno di duecento anni fa finito nel limbo dell’antiquariato.  Ma il bicentenario chi scrive, assieme ad Alvar Gonzàlez-Palacios, ci s’era inzuccati di celebrarlo. Abbiamo così stretto i tempi e, non senza un qualche affanno editoriale, siamo riusciti a dare alle stampe il catalogo ragionato dei disegni del celebre ebanista oggi conservato presso il gabinetto dei disegni delle Civiche Raccolte d’Arte milanesi, entro l’anno del bicentenario. Quattro anni di lavoro hanno portato alla schedatura scientifica di questo sterminato Fondo, un unicum nella storia del mobile italiano che il Comune di Milano, probabilmente su consiglio di Luca Beltrami, comprò nel 1882, pensando di fare un buon servizio alle scuole d’arte del Castello Sforzesco che andavano formando le leve degli artigiani per l’alba del nuovo secolo.  Negli stessi anni si pensò anche di dotare il costituendo museo di un nutrito corpus di “mobili Maggiolini”. Qualcosa venne donato da vecchie famiglie, qualcos’altro acquistato sul mercato antiquario.  Una fotografia del 1910 circa mostra la Sala del Settecento del Castello con una schiera di mobili accompagnati, in cornici alla buona appese alle pareti, dai più bei disegni del Fondo.

Che non ci fosse modo di organizzare una mostra per il bicentenario era apparso chiaro alcuni anni or sono. È comprensibile, avendo Milano già organizzato nel novembre del 1938 la mostra in occasione del bicentenario della nascita di quest’uomo, esempio delle più fulgide e littorie virtù artistiche della patria. Mancavano pochi mesi al baratro in cui finirà l’Europa con l’invasione tedesca della Polonia.  Il palazzo che ospitò la mostra, e anche molti dei mobili di quell’esposizione, andarono perduti pochi anni dopo nella devastazione bellica della città. La storia del dopoguerra, della ricostruzione della città, è uno dei capitoli più interessanti della storia dell’architettura italiana, che ha portato alla contaminazione tra architettura, arte e artigianato che ha dato origine alla stagione del design milanese.

Con Sandrina Bandera, direttore del Polo Museale della Lombardia, Francesca Tasso, conservatrice delle Raccolte d’Arte del Castello Sforzesco, mi sono trovato a condividere l’idea che l’opera di Giuseppe Maggiolini altro non sia un anticipo di questa stagione milanese a noi prossima. È nata così l’idea di Maggiolini al Fuorisalone, evento che certo rappresenta il design più all’avanguardia nel corso della settimana dello storico Salone del Mobile. Grazie alla generosità di alcuni collezionisti, è nata, nel corso dei primi mesi dell’anno questa mostra, come una sorta di scommessa.

Come numerose altre aziende, anche storiche, Maggiolini presenta la propria opera nel contesto della settimana del design. E lo fa mostrando con un allestimento una scelta delle proprie opere che copre cinquant’anni di attività, mettendole in relazione con i progetti dei collaboratori, tutti piuttosto blasonati, a partire da Andrea Appiani che hanno reso possibile questo successo ricordato ancora due secoli dopo la morte del protagonista.

Vale la pena di ricordare questa storia almeno fino all’arrivo di Napoleone Bonaparte nel 1796, quando, la felice del neoclassicismo milanese si concluse repentinamente.

L’intarsio sull’anta di una delle commodes Melzi d’Eril del 1804

L’intarsio sull’anta di una delle commodes Melzi d’Eril del 1804

Giuseppe Maggiolini nasce a Parabiago il 13 novembre 1738. Rimasto orfano ancora fanciullo, viene accolto dai monaci cistercensi del monastero di Sant’Ambrogio della vittoria e avviato al mestiere di falegname, alla pratica antica e a quel tempo ormai perduta dell’intarsio ligneo nel laboratorio del monastero. Sorta d’istitutore del giovane è un erudito sacerdote novarese di nome Antonio Maria Coldiroli (1728-1793), insegnate presso il locale Collegio Cavalleri, blasonata istituzione scolastica, che gli impartisce lezioni di disegno e i rudimenti dell’architettura sui testi del Cinquecento. Prima dei vent’anni lo troviamo falegname con una piccola bottega affacciata sulla piazza del paese. Nel 1758 nasce il suo primogenito Carlo Francesco (1758-1834) che gli sarà al fianco lungo tutta la carriera. Lo stesso anno esegue, firma e data la sua prima opera oggi nota, una coppia di tavoli di aspetto milanese in legno di noce e cornici nere ma aggiornati secondo le forme della rocaille nevrotica di Franz Xavier Habermann. Successiva è una commode à pieds elevée che pare una diretta invenzione dell’Habermann decorata da intarsi leggeri e chiari che disegnano cartelle rocaille; opera sorprendente di un giovane artigiano ormai distante dal gusto provinciale del mobile milanese e già proiettato nel gusto europeo.

E’ forse il Marchese Giovanni Battista Moriggia, con proprietà e interessi economici a Parabiago e un palazzo a Milano – e buone relazioni a corte dove si occupa nel 1771 dei festeggiamenti per le nozze tra l’arciduca Ferdinando e Maria Beatrice d’Este – a far conoscere queste opere del giovane falegname di provincia in città. Di certo, tra la fine della sesta decade e l’inizio della successiva, Maggiolini, conosce e si lega professionalmente ad Agostino Gerli (1744-1821), stuccatore e decoratore (e poi nel corso della lunga vita anche molto di più…) che verso il 1769 apre a Milano, assieme ai suoi fratelli Giuseppe e Carlo, un laboratorio di decorazioni e arredi alla moda di Parigi dopo aver lavorato sei anni nell’atelier parigino di Honoré Guibert (1720-1791) alle decorazioni del Petit Trianon.

Senza essersi mai allontanato da Parabiago, Maggiolini realizza così alcuni mobili su disegni di Gerli nelle forme squisite della Rocaille parigina, completamente rivestiti da intarsi in legni policromi e impreziositi da bei bronzi dorati. Si tratta di arredi sorprendenti nel contesto del mobilio milanese del tempo. Appartengono a questa produzione un piccolo tavolo da lavoro femminile e una commode alle Raccolte artistiche del Comune di Milano con intarsi di scenette di vita cinese tratte dalle stampe di Watteau (1684-1721), bronzi dorati anch’essi con cineserie e mascheroni e serpenti ispirati alla Nouvelle Iconologie di Jean Charles Delefosse (1734-1791).

Nel 1772, l’anno dopo le nozze arciducali, esegue su commissione del giovane arciduca una scrivania destinata ad essere inviata come dono alla madre, l’Imperatrice Maria Teresa, ancora oggi conservata a Vienna. Il progetto d’insieme e i bronzi spettano probabilmente al Gerli; le cineserie che Maggiolini intarsia sul coperchio e i fianchi le disegna Giuseppe Levati (1739-1828): sono quattro tempere che possono essere considerate, per estro e freschezza, tra le migliori cose della cineseria settecentesca.

Ma si tratta di una fase di passaggio che dura pochi anni. Il gusto della decorazione milanese va già in direzione di quell’ultima stravaganza internazionale del Goût greque che ben si armonizza con le nuove direttive imperiali di Maria Teresa che impongono all’architettura ufficiale milanese il recupero della classicità. Il dominus è Giuseppe Piermarini (1734-1808), insignito nel 1769 del titolo di “Architetto Regio Imperiale”; suo braccio destro per tutte le questioni inerenti la decorazione e l’arredamento è il ticinese Giocondo Albertolli (1742-1839), formatosi tra Parma e Firenze e giunto in città nel 1774 per occuparsi delle decorazioni del nuovo palazzo di corte. Ne consegue che anche le forme dei mobili si adattano rapidamente alle direttive di questo classicismo, agli ordini dell’architettura rinascimentale limpida e aurea. L’antica tecnica dell’intarsio ligneo che Maggiolini pratica da virtuoso, si ripresenta dopo secoli di oblio perfettamente adatta alla modernità. Come per il Rinascimento l’intarsio aveva rappresentato il farsi immediatezza tecnica l’astratta prospettiva, ora nell’età dei Lumi rappresenta con Maggiolini l’unione della catalogazione enciclopedica della natura con la bellezza artistica.

A partire dalla seconda metà degli anni Settanta, sempre assieme a Gerli in veste di progettista, realizza alcuni capisaldi del mobile neoclassico europeo: archetipi di quello che passerà alla storia come il “mobile Maggiolini”.

Diventa fornitore dei palazzi di corte; l’arciduca Ferdinando lo insignisce del brevetto di “Intarsiatore delle Loro Altezze Reali” commissionandogli, dopo la scrivania per l’augusta madre, altri donativi. Una grande commode è inviata a Modena al suocero Ercole III d’Este; un tripode – perduto ma di cui ancora esiste il progetto – a San Pietroburgo allo Zar; un quadro a Varsavia al Re di Polonia Augusto Poniatowski; uno scrittoio – anch’esso perduto ma di cui si conserva un disegno – a Napoli alla sorella Maria Carolina; un secrétaire a Parma all’altra sorella Maria Amalia.

La società più vicina alla nuova corte, che intraprende impegnativi lavori di restauro dei propri palazzi secondo le nuove direttive del gusto, fa a gara per accaparrarsi i mobili dell’ebanista prediletto dell’arciduca. Del 1777 è una coppia di commodes eseguita per il potente banchiere Antonio Greppi. Assieme a Gerli e Maggiolini troviamo il giovane Andrea Appiani (1754-1817) che disegna allegorie figurate di virtù care al committente. Sono due capolavori, documentati sia nei disegni della bottega sia nelle carte dell’archivio Greppi dove rimane anche una delle uniche ricevute di pagamento autografe di Maggiolini datata 3 luglio 1777.

Non troppo tempo dopo (verso il 1780) esegue due grandi mobili d’angolo per la sala da pranzo della villa di Monza di cui si conserva un frammento, un dettagliato progetto d’insieme e un gruppo di ben diciannove disegni per le tarsie tutti del Levati.

Nel 1784 per il marchese Domenico Serra di Genova, che ha appena rinnovato il suo palazzo secondo il più moderno gusto parigino su progetto di Charles de Wailly (1730-1798), esegue una commode completamente rivestita di finissimi intarsi e impreziosita da bronzi dorati. Il mobile è andato perduto sotto le bombe che nel 1942 distrussero il palazzo; fortunatamente rimane cartone preparatorio: Gerli ne definisce l’impianto architettonico, Giuseppe Levati allestisce il minuto partito decorativo.

Nel 1789, anno tragico per i destini dell’Europa con lo scoppio della rivoluzione francese, in occasione del matrimonio tra Luigia Serbelloni e Lodovico Busca, appronta due commodes monumentali. Il progetto è del decoratore di corte Giocondo Albertolli per la parte architettonica; le tarsie con allegorie e giochi di putti spettano ad Andrea Appiani, ancora una volta vicino alla bottega. Il gusto per il mobile Louis XVI è declinato con la sensibilità neorinascimentale albertolliana in questi mobili, sorta di cassoni neorinascimentali, in cui convivono l’intarsio e la scultura delle sensuali cariatidi femminili in legno dorato. Mobili eruditi e di gusto antiquario perché poggiano su ippogrifi in bronzo a patina scura del ‘500.

Numerose sono le commesse di piccoli e preziosi mobili come il cofanetto o il tavolino eseguiti verso il 1790 per un esponente della famiglia Borromeo. Numerosi sono anche i disegni che ci restituiscono memoria di questo intenso periodo. Maggiolini vi appunta, assieme a notazioni tecniche, date e nomi dei committenti: Andreani, Bigli, Borromeo, Carpani, Castiglioni, Ciceri, Crivelli, Durazzo, Giulini, Isimbardi, Litta, Moriggia, Pallavicini, Parravicini, Trivulzio, Visconti Ciceri, Visconti di Modrone.

Questa felice stagione creativa (e produttiva) termina repentinamente nel maggio 1796. Sul piccolo ducato piomba l’esercito del generale Bonaparte e l’arciduca Ferdinando lascia Milano nottetempo dopo la battaglia al ponte di Lodi. In pochi giorni i palazzi di corte sono saccheggiati, i mobili venduti all’asta per ordine di Napoleone che deve pagare i suoi soldati. Gran parte delle opere più importanti che Maggiolini aveva eseguito per la corte arciducale sono disperse, irrimediabilmente perdute.